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Una idea di letteratura
Un matrimonio benedetto, di Ngūgī wa Thiong’o

di Roberto Russo, Grapho Mania, 4 novembre 2016

Un matrimonio benedetto è il titolo di uno dei tredici racconti di Ngugi wa Thiong’o che compongono l’antologia omonima, pubblicata in Italia da Quarup. Il titolo originale della raccolta, uno degli ultimi testi in inglese di Ngūgī wa Thiong’o, è Secret Lives, and Other Stories e la prima pubblicazione risale al 1975.

L’antologia è composta di tre parti (Madri e figli – tre racconti; Dominatori e vittime – sei racconti; Vite nascoste – quattro racconti) che ruotano attorno a temi cari all’autore, quali l’identità propria di un popolo, l’appiattimento dovuto alla cultura colonialista, l’esprimersi attraverso le parole e le storie che risuonano nell’intimo di ogni persona.

Con la sua penna, Ngūgī wa Thiong’o ci porta a conoscere le vite di donne che si sentono rifiutate perché non hanno figli ma anche donne che riescono a ribellarsi a questa imposizione; ragazzi che per essere qualcuno vanno all’estero a studiare e poi tornano tronfi del loro sapere e ragazzi che rimangono, sono ben visti da tutti, ma poi alla fine non sono così diversi da quelli che sono andati via. Una sorta di disfacimento di tutto un tessuto è quello che ci scorre sotto gli occhi leggendo le storie raccontate da Ngūgī wa Thiong’o in Un matrimonio benedetto.

Alcune storie, com’è ovvio che sia, restano più impresse nella memoria di chi legge. Quella di Nyokabi, per esempio, che «sapeva che stava diventando vecchia […] così vecchia, e ancora nessun figlio! Questa era la sua preoccupazione. Era una cosa inconcepibile. Era sterile». Eppure, in una maniera del tutto inaspettata, la pioggia che cade la rende feconda e capace di ri-dare la vita. O ancora il racconto La vittima che narra di «quando il Signor e la Signora Garstone furono assassinati da delinquenti sconosciuti in casa loro» e dei «molti commenti a riguardo» che ne nacquero. Ovviamente i «bianchi» davano per scontato che a compiere l’efferato delitto fossero stati i «neri». E, alla fine, risulta pure evidente che le cose stessero così. Ma siamo sicuri?

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