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Una idea di letteratura

A sud del capanno

(6 recensioni dei clienti)

12.00

I fatti, come in una sceneggiatura dei Coen o di Tarantino, si aggrovigliano in un crescendo crudo ed esilarante di tensione e violenza, e ci scorrono davanti come oggetti alla deriva sul mare, in un unico respiro, fino all’inevitabile orrore finale.
Benvenuti a El Sobrante.

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Categoria: Product ID: 1574

Descrizione

I fatti, come in una sceneggiatura dei Coen o di Tarantino, si aggrovigliano in un crescendo crudo ed esilarante di tensione e violenza, e ci scorrono davanti come oggetti alla deriva sul mare, in un unico respiro, fino all’inevitabile orrore finale.
Benvenuti a El Sobrante.

In una splendida mattina autunnale, sotto un cielo “acceso da una punta di arancione” Ed e Earl, due fratelli che non si vedevano da anni, decidono di celebrare il loro affetto con un viaggio in barca. Per “beccare uno storione clamoroso”, come non ne vedevano dai tempi della loro infanzia quando vivevano tutti insieme a El Sobrante (paese della California, e parola che in spagnolo significa – quasi per destino – “ciò che resta”).
Il romanzo di esordio di LES CLAYPOOL, fondatore e leader dei Primus, mette in scena la battuta di pesca dei due, in realtà solo un alibi che nasconde la vera avventura: la scoperta di “ciò che resta” del loro paese, dei tempi passati, delle convinzioni maturate nel corso del tempo, e soprattutto del rapporto che li lega.
Fluttuano, Ed e Earl, sulle acque luccicanti della Baia di San Francisco e dentro spettacolari luci psichedeliche da sostanze allucinogene, e nel loro trip scandagliano insieme, in maniera allucinata e folle, i fondali della baia e le acque torbide delle loro coscienze.
I fatti, come in una sceneggiatura dei Coen o di Tarantino, si aggrovigliano in un crescendo crudo ed esilarante di tensione e violenza, e ci scorrono davanti come oggetti alla deriva sul mare, in un unico respiro, fino all’inevitabile orrore finale.
Benvenuti a El Sobrante.
Benvenuti IN CIÒ CHE RESTA.

Les Claypool
LES CLAYPOOL, nato a El Sobrante, California, nel 1963, forse il più originale bassista degli anni Novanta, ha legato la sua fama nella storia del rock al nome dei Primus, la band di cui à stato fondatore e vedette. Con loro si à esibito insieme ad altri mostri sacri del rock come i Jane’s Addiction, i Public Enemy e gli U2, imponendosi come un loro pari.
Affascinato dal cinema, e dai linguaggi visuali-testuali in genere, si è progressivamente avvicinato alla letteratura. “A sud del capanno”, il suo romanzo d’esordio, ha incontrato la fiducia della prestigiosa casa editrice indipendente newyorchese Akashic.

Informazioni aggiuntive

Autore

Collana

ISBN

978-88-95166-07-0

Traduzione

Fabio Genovesi

Pagine

176

Formato

Formato: 14×21 – Brossura filo refe con alette

6 recensioni per A sud del capanno

  1. hap

    Les Claypool: A Sud Del Capanno
    di hap, Debaser, 3 ottobre 2009

    Gironzolando tra gli scaffali delle novità noir di una grande libreria romana mi sono imbattuto in questo romanzo di Les Claypool. Subito sono andato a verificare se si trattava dello stesso Les che conoscevo io cioè il grande bassista membro e fondatore dei Primus ed effettivamente è così.

    Il libro è uscito negli Stati Uniti nel 2006 con il titolo di “South of the Pumphouse” ed è stato tradotto in italiano da Fabio Genovesi e pubblicato dalla piccola casa editrice pescarese “quarup”.

    Contrariamente al suo bassistico andare dinoccolato e sincopato, come scrittore Les è molto più fluido, preciso, scarno.

    Si tratta della storia di due fratelli Ed e Earl che si reincontrano ad “El Sobrante”, cittadina della baia di San Francisco, per una battuta di pesca. Vanno a beccare uno storione clamoroso, di quelli che solo loro padre, da poco scomparso, riusciva a pescare.
    “In realtà è solo un alibi che nasconde la vera avventura: la scoperta di “ciò che resta” del loro paese, dei tempi passati, delle convinzioni maturate nel corso del tempo, e soprattutto del rapporto che li lega.” (Questa l’ho copiata perchè mi sembrava rendere bene l’idea, ma non mi ricordo da dove:-().

    Alla gita in barca si aggrega un amico di Earl, che non va per niente giù a Ed: è uno stronzo razzista, bigotto, maschilista e per un frikkettone come lui è veramente troppo.
    Così decide di “alienarsi” un attimo con l’ausilio di un po’ di funghetti allucinogeni, sperando di riuscire a non dare retta alle continue battutine di quel coglione.
    La storia, anche se all’inizio un pochettino lenta, scivola via creando un’atmosfera dark, fatta di malintesi, cinismo, droghe varie, morte. Bello il finale, può essere pericoloso essere poco chiari quando si millantano gesta epocali.

    Claypool cita tra le sue ispirazioni Bukowski, Hunter S. Thompson, David Sedaris, Jean Shepherd, Bill Bryson, ma non manca di affermare, a termine di un intervista che gli è stata fatta, che:

    “I am just a bass player”.

    P.S. Se fossi in voi ci penserei sopra prima di accettare l’offerta di un mini-sandwich al tonno…
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  2. Vittorio Castelnuovo

    di Vittorio Castelnuovo, Il Riformista, 28 maggio 2009

  3. Manuel Graziani

    di Manuel Graziani

  4. Stefano Fanti

    Previously on Lost
    di Stefano Fanti, Finzioni, 24 novembre 2010

    Si è persa la bussola (di John Locke)! Siamo sull’isola misteriosa! E mi riferisco a tutti noi eh, quindi anche alla figura mitologica che percorre le nostre strettoie. Prima di perderlo, il prezioso strumento, indicava Ovest-Ovest-Sud, un po’ come dire, boh, Argentina? No, direi proprio che siamo negli Stati Uniti, e a guidarci, questa volta, saranno John Fante, Les Claypool e Jonathan Lethem.

    Il labirinto, di fronte, è la rappresentazione tridimensionale della società di oggi (schiacciata in 2D ed alla ricerca della profondità presso televisori d’ultimissima generazione, quando sappiamo bene tutti, che è proprio la superficialità di questi anni a fare i danni maggiori) novembre 2010: bisogna guardare al qui e ora per non compromettere la lucidità di opinione – che si sappia la storia è preso per buono, nonostante non sia vero purtroppo – e destreggiarsi in ciò che siamo diventati. Fondamentalmente un esercito, e più guardo 30Rock più ne trovo conferma. Quest’ultima frase si può prendere in molti modi, ognuno è quello giusto.

    Fante ci aspetta all’entrata, con un cane. E qui, chi ama lo scrittore italo-americano, ha già capito, parliamo infatti di “A Ovest di Roma”, volume che raccoglie il romanzo (o racconto lungo?) “Il Mio Cane Stupido” ed il racconto “L’Orgia”. Devo ammettere che questo è uno dei libri di JF che amo di più, per il ritratto davvero tangibile che fa della sua vita – Fante ed Henry Molise sono la sovrapposizione l’uno dell’altro, cambia solo qualche tassello – tra famiglia e (non) lavoro. In poco più di cento pagine racconta l’uomo e l’America, o meglio, imprime con il fuoco – ricco di ironia e acume come di sofferenza – ciò che è l’uomo IN America, e precisamente, dato fondamentale, in California. Notevole anche “L’orgia”, per vena umoristica e tragica che si fondono senza far rumore, ma è con, Stupido, il cane del suddetto romanzo, che vediamo il centro dell’universo del fenomenale abruzzese di Denver.

    Continuiamo la strada verso sinistra e ci imbattiamo in un pezzo grosso dei giorni nostri, Jonathan Lethem, che tiene in mano una raccoltina uscita per minimum fax qualche anno fa, “A Ovest dell’Inferno”, scontro frontale tra la fiction e la non fiction dello scrittore newyorkese. C’è un po’ tutto l’immaginario di Lethem in queste facciate, costituito dalla migliore linfa avanpop, dalla fantascienza, dai fumetti e dal cinema. Libera e caratterizzata da uno spettro letterario gigantesco, la prosa è in continuo movimento e fa intravedere, nel piccolo di un libro “minore”, di quanta grazia è capace il creatore di quelli che si possono considerare veri totem della scrittura del ‘900. E poi il saggio/racconto su Sentieri Selvaggi è esilarante.

    Ultima tappa in compagnia di uno che ne sa. Nonostante io non sia mai stato un grandissimo fan dei Primus, è necessario omaggiare uno dei più grandi bassisti rock di sempre – e inaspettato scribacchino – ovvero il buon vecchio Les Claypool. Il suo esordio da narratore, “A Sud del Capanno”, uscito per il piccolo editore quarup e tradotto dal sempre ottimo Fabio Genovesi (si attende il nuovo romanzo con ansia!), è sorta di commedia nera, radicata ed esaltata dal paesaggio californiano più nascosto ed intrinsecamente – e volgarmente – a stelle e strisce: birra, rutti, sesso esplicito, sangue, pesca, scoregge e via dicendo. Storie di redneck – anche se non siamo in Alabama – per una versione tragica di My Name Is Earl. E uno dei personaggi si chiama proprio così, sarà un caso?
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  5. ufj

    les claypool – a sud del capanno
    di ufj, Tapirulan, 7 marzo 2011

    Mi sono accorto che nel giudicare un romanzo uso due differenti misure.
    Se si tratta di scrittori professionisti gli spalanco il culetto. Cerco la smagliaturina nella trama, la minima incoerenza, il dialogo appena sopra registro. Cerco il cosiddetto tarzanello nel letamaio. Sono implacabile. Dev’essere invidia.
    Se si tratta di dilettanti, allora sono l’esatto opposto. Cerco il personaggio ben fatto, l’elemento di originalità della trama, il capoverso ben scritto. Sovente soprassedendo sul resto. Cerco qualcosa per cui valga la pena che almeno un’altra persona oltre al sottoscritto si degni di leggere quel racconto – o romanzo.
    Nel caso di Les Claypool né l’uno né l’altro.
    Nel caso di Les Claypool ho dovuto prima di tutto combattere la mia diffidenza – la diffidenza di chi teme da sempre cabarettisti che diventano primi ministri, eredi al trono che fanno i cantanti, geniali bassisti che scrivono romanzetti pulp. Ho dovuto combattere, dicevo, e ho perso.
    Due fratelli e un amico stronzo (il personaggio migliore del libro) escono a pesca per ricucire un passato invero molto presente. Conflitti irrisolti, speranze disilluse, attrito, tragedia.
    Rilevo molta voglia di imitare certa letteratura e tanta, tanta ingenuità. “Deve molto a Steinbeck”, leggo nelle alette di copertina. A partire dalle scuse, mi sento di aggiugnere.
    I primi cinque capitoli sono assolutamente inutili, il finale è affrettato e oltremodo pasticciato. Una su tutte: l’entrata in scena di un personaggio chiave più o meno verso la penultima pagina. Capisco l’intento ma questo, narrativamente parlando, significa barare. Barare maluccio, dal momento che il lettore se ne accorge.
    Carino il garbuglio dopotutto e, in misura minore, la sua soluzione. Sta di fatto che le scaramucce verbali tra il sudista razzista e il figliol prodigo progressista di città sono da voltastomaco per banalità e mala scrittura. Vi passo questa sull’omosessualità e vi risparmio quella sul razzismo, lunga nientemeno che tre capitoli.

    Les Claypool l’ho visto in concerto un mesetto fa all’Estragon. Grandioso!

    ———————-

    [Ed disse] “Non c’è nulla di male a farsi qualche canna quando capita. Se cali qualche acido, funghi, magari dell’ex”.
    “Ex?”, ripetè Donny confuso.
    “Ecstasy”.
    “Ah, amico, ho sentito che è roba da froci”.
    “Ed scosse la testa e si spaparanzò di nuovo sul sedile. I tre rimasero in silenzio per un lunghissimo istante prima che Donny aprisse di nuovo la bocca. “E senti un’altra cosa, Ed. Ti dico la verità. Ho sempre pensato che eri una checca”. Fece una pausa, guardandolo dritto negli occhi, e chiese: “Ci sei mai stato con una donna?”
    “Sono sposato”.
    “Con una donna?”
    “Sì”.
    “Be’ cazzo, che ne so. Al giorno d’oggi. In questa cazzo di California. Maschi che si sposano con altri maschi. Fiche che sposano fiche. Adottano bambini. Stronzate assurde”. Donny si fece un’altra sorsata di birra e prese una sigaretta dalla camicia.
    “Non c’è niente di male se una coppia gay adotta un bambino”. Nel momento in cui le parole gli uscirono di bocca, Ed si pentì di aver parlato. Perché non poteva starsene a sedere col becco chiuso e basta? Cercare di intavolare un dibattito con un tipo come Donny Wowdy era un’impresa senza senso.
    “Ma vaffanculo, Ed”. Abbaiò Donny. “Ma lo senti, Earl?”
    “Non ne voglio sapere niente”. Earl si alzò per dare un’altra controllata alla sua esca.
    “Be’, vaffanculo, Ed”.
    “Senti, vaffanculo tu, Don. E allora dimmi cosa c’è di male”. Ed era passato alle offese, e insultare Donny era una bella sensazione.
    “Non è una cosa giusta”.
    “Perché?”
    “Non è giusta, cazzo!”, ripeté Donny. “Pensa a quel povero ragazzino”.
    “Povero ragazzino? Perché sarebbe un povero ragazzino?”
    “Ti piacerebbe andare a scuola e raccontare a tutti che i tuoi genitori sono una coppia di froci?” sbottò Donny con gli occhi spiritati. “Ti dico questo. Se una cosa del genere la dicevi a scuola mia, ti prendevano a calci in culo per tutta la vita”.
    Ci sono un sacco di ambienti con la mente aperta, liberali, dove la gente non ci fa nemmeno caso”.
    “Certo, dove?”
    “Berkeley, San Francisco…”
    “La centrale dei Freak”, lo interruppe Donny.
    “Non c’è niente di male in due gentori affettuosi che tirano su un bambino insieme. Non importa se sono gay o etero. C’è un sacco di ragazzini che sarebbero strafelici di avere una casa qualsiasi tipo dove magari c’è un po’ di stabilità”.
    “Stabilità? Ma sentilo il signorino universitario raffinato. Stabilità”.
    “Molte coppie gay, o molti gay in genere, di solito sono istruiti, gentili, altruisti, te lo dico per esperienza”.
    “Già, ci scommetto che c’hai un sacco, di esperienza”, fece Donny col tono da presa per il culo.

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  6. Giovanni Amoroso

    Scoprendo quarup
    di Giovanni Amoroso, Giovanni Amoroso blog, 28 giugno 2009

    Le soprese non finiscono mai!
    Ero a casa di Manwell per un’intervista universitaria, parlavamo di Amelie Tritesse e di letteratura con particolare attenzione all’Abruzzo. Dal “quasi” nulla spuntano fuori Lee Ranaldo e Les Claypool. Come?
    Be’, Manwell mi dice: “C’è una casa editrice di Pescara di cui non ricordo il nome che ha pubblicato un diario di Lee Renaldo e un romanzo del cantante dei Primus”. Io incredulo non sapevo cosa dire, infatti scemenze a parte del tipo: “I Primus delle musiche dei South Park?”, lui: “Ehm, non so” […] Intervista a Les […]
    Non c’entrava nulla, ma per me in quel momento è stato importante e nel frattempo mi si avviò un processo di post-ittaggio a mente di questa bella notizia.
    Il giorno seguente dovevo intervistare Umberto Palazzo per lo stesso progetto, e parlando dell’importanza del disturbo che stavo recando loro, sotto forma di chiacchiere che andavo facendo da un lato all’altro dell’Abruzzo, scopro che anche lui era ingnaro (pur vivendo a Pescara) di tutto questo fenomenale avvenimento.
    Quindi tirando due somme, se non era per il mio progetto “musica e letteratura in Abruzzo”, se non era per Manwell soprattutto, non sarei arrivato a conoscenza di questi due libri, oppure ci sarei arrivato troppo tardi?
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