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Corpi estratti dalle macerie

(10 recensioni dei clienti)

12.00

Un uomo e una donna, chiusi in una stanza, all’interno di uno dei “residence di lusso” che la Compagnia petrolifera ha fatto costruire “a poche centinaia di metri dal fiume Ural”. Affascinantissimo “interno”, o promettentissimo inizio, ma “quello è solo l’inizio”, appunto.

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Descrizione

Un uomo e una donna, chiusi in una stanza, all’interno di uno dei “residence di lusso” che la Compagnia petrolifera ha fatto costruire “a poche centinaia di metri dal fiume Ural”. Affascinantissimo “interno”, o promettentissimo inizio, ma “quello è solo l’inizio”, appunto. In realtà Martha, “capelli folti rosso rame, maestosa, abbondante, regale, con un viso bellissimo deturpato da una cicatrice”, e Ivan “piccolo, arcigno, calvo, muscoloso, un fascio di nervi nudo” sono lì per “concludere”, tecnicamente, la storia che ce li ha condotti. E con gesti e frasi che sorprendono loro prima di chi legge, arriveranno alla conclusione insieme più logica e più sconvolgente.

Franco Calandrini
Produttore di documentari e cortometraggi, fondatore di due festival cinematografici (Corto Imola Film Festival e Ravenna Nightmare Film Fest), Franco Calandrini (Ravenna, 1961) ha esordito come autore di narrativa con il noir È colpa di chi muore (Il Maestrale 2011).
Sperimenta adesso, con questo Corpi estratti dalle macerie, scritture lontane dal “genere”, tentando un coraggioso esperimento di narrazione che si richiama esplicitamente all’indimenticabile lezione di Bernard-Marie Koltès.

Informazioni aggiuntive

Autore

Collana

ISBN

9788895166285

Pagine

72

Formato

12×19,5

10 recensioni per Corpi estratti dalle macerie

  1. Erika Baldini

    Lo scrittore in nero
    di Erika Baldini, In Magazine, 27 luglio 2015

    Franco Calandrini veste nero, cupo. Ma quando sorride il suo sguardo è chiaro e luminoso. Ha un che di rassicurante e una modestia vera. Classe 1961, produttore di documentari e videoclip fino alla fine degli anni ’90, fondatore dei festival di cinema corto Imola Film Festival, uno dei primi a capire il potenziale espressivo del cortometraggio, e Ravenna Nightmare Film Fest, uno degli appuntamenti più importanti per il cinema di genere in Italia, con Start e Ravenna Screen curatore dei Sabati d’Essai a Ravenna e gestore di arene estive. Ma soprattutto, da qualche tempo, anche scrittore di talento, con all’attivo la raccolta di racconti Io non so fare niente e due romanzi, È colpa di chi muore (Il Maestrale, 2011) e il recente Corpi estratti dalle macerie (Quarup, 2013).

    È giusto? Manca qualche attività a questo percorso di tutto rispetto? Come sei passato dal cinema alla scrittura? Quale la spinta che ti ha portato all’esigenza di scrivere, se di esigenza si tratta?
    “Giusto. Sullo ‘scrittore di talento’ sei stata generosa! In realtà non è che io sia passato dal cinema alla scrittura, il cinema era per me ragione di vita, sostentamento compreso fino a poco tempo fa, la scrittura è solo passione. Non mi prendo molto seriamente. È successo che dopo aver iniziato a scrivere in modo del tutto casuale, e dopo aver vinto qualche premietto, mi sono appassionato. Quando penso di avere tra le mani qualcosa che meriti, scrivo. Poi non è detto che tutto quello che scrivo meriti di essere pubblicato.”
    In occasione dell’uscita del tuo primo romanzo, ricordo una tua intervista dove dicevi di essere arrivato alla scrittura in “così tarda età”, nessuno si aspettava il tuo romanzo, per cui ti eri preso tutto il tempo che serviva. È stato così anche per quest’ultimo libro?
    “Sì, è così per tutte le cose che ho scritto. Avendo iniziato a scrivere in tarda età e quasi per caso non ci sono aspettative sulla mia produzione letteraria. Se oggi smettessi di scrivere, a parte me, nessuno ne sentirebbe la mancanza. Non che pensi che i miei libri non abbiano valore, anzi, ho perfino la presunzione di credere che prima o poi qualcuno se ne accorgerà. È colpa di chi muore, se non l’avessi scritto io, direi che è proprio il tipo di libro che vorrei leggere. Ad oggi sicuramente la mia opera più compiuta.”
    La narrazione di Corpi estratti dalle macerie sembra davvero un testo teatrale. Hai mai pensato a una messa in scena? O magari ad una versione cinematografica?
    “Corpi nasce come testo teatrale, ma dato che in Italia il teatro viene pubblicato solo da due grandi editori – e io non ho lo spessore per reggere tale peso – ho dovuto ripensarlo. Grazie al lavoro fatto con l’editor di Quarup ho trovato una sua forma. Forse è diventato qualcosa di altro, ma alla fine mi ha convinto totalmente. Per la versione cinematografica c’è un interesse reale, ma ancora è prematuro parlarne.”
    Ravenna è dove vivi e lavori, il tuo nome qui è legato al cinema: hai gestito la programmazione estiva della Rocca, curi la rassegna I sabati d’essai e soprattutto sei il fondatore, l’ideatore del festival di culto Ravenna Nightmare. Quali esperienze e ricordi conservi?
    “I primi anni di festival, fatti con budget di tutto rispetto, sono stati quelli in cui abbiamo avuto il massimo della gratificazione. Penso alla prima edizione, assolutamente anarchica, culminata con una delle cerimonie di premiazione più folli mai avute, con Paolino, oggi una star televisiva, che lanciava premi improbabili. Oppure penso al primo anno di Cinema City con Dario Argento. Penso al 2005, in cui abbiamo messo in cantiere l’edizione più ambiziosa, con la pubblicazione, con Nocturno, del libro fotografico di Franco Vitale sull’opera di Argento e la relativa mostra in Biblioteca Classense. Penso alle Retrospettive di Sandro Sunda, attese dai nostri fan storici come la manna dal cielo. Penso anche alle edizioni recenti, sotto la direzione artistica di Alberto Bucci e al tutto esaurito della sonorizzazione degli Ovo di Nosferatu. Penso ai dopo festival di cui per tanti anni si è narrato. Penso agli ospiti che abbiamo avuto, alle persone che ci hanno fatto compagnia. Sono ricordi che niente e nessuno, nemmeno il momento critico che ci sta aspettando, potrà mai cancellare.”
    E il futuro? Quali sono i tuoi prossimi progetti?
    “Cercare di consolidare ulteriormente i due festival che ho fondato, anche se il momento non è dei migliori, e continuare a scrivere. Ho in mente quattro progetti: Il male minore, disavventure di un contabile in terra Kazaka; una riscrittura de La bohème che ho in mente da anni; Il mio giudizio universale, pièce teatrale su di una vendetta, tra Un borghese piccolo piccolo e Il segreto dei suo occhi; Gli spettri, una riflessone sulla vita delle cose e delle persone dopo la propria morte. Come vedi ho le idee un bel po’ confuse.”

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  2. Alessandro Fogli

    Calandrini emerge dalle macerie
    di Alessandro Fogli, Corriere Romagna, 29 gennaio 2014

    Fondatore di due importanti festival cinematografici quali Corto Imola film festival e Nightmare a Ravenna, il ravennate Franco Calandrini è però divenuto negli ultimi tre anni anche autore di evidente talento, con all’attivo due lavori – È colpa di chi muore (Il Maestrale, 2011) e il recente Corpi estratti dalle macerie (Quarup, 2013) – di rara potenza.

    Corpi estratti dalle macerie, che Calandrini presenta stasera (ore 18) al Tribeca di Ravenna per la rassegna “Librando”, è un’opera sorprendente per ritmo, originalità e stile, in cui i due protagonisti (la tedesca Martha e lo slovacco Ivan) danno vita in un claustrofobico interno kazako a un confronto feroce e complessissimo, vicino in qualche modo alle chirurgiche introspezioni psicologiche dei testi teatrali di Jasmina Reza.

    Calandrini, qual è la genesi del libro?

    «Il tema della scelta è uno di quelli che più mi appassionano, è uno dei più importanti e spesso dolorosi, che torna ripetutamente nella vita di tutti, quindi anche nella mia. Non sempre lo si risolve in modo indolore, meno ancora in modo eroico. Mentre nella vita spesso capita di esserne travolti, nell’arte è una sirena difficile da ignorare. Le scelte facili non esistono. E non è vero che una scelta c’è sempre. Penso sia capitato a chiunque un momento in cui non si è potuto scegliere. Il libro nasce da questa esigenza, dallo stare a guardare, come si fa con le cavie di laboratorio, come le persone si comportano quando c’è da fare una scelta che, in ogni caso, porterà dolore. Il tempo è poi un altro protagonista del libro, la sua mancanza soprattutto. E la mancanza di tempo è strettamente legata al paese in cui ho calato la storia».

    Perché proprio questo luogo, il Kazakhstan, molto caratterizzato e inusuale?

    «Lì è tutto più faticoso, più lento e ineluttabile. Il rapporto che gli abitanti di Atyrau hanno con il destino, collegato al fiume Ural, ha qualcosa di magico. Dicono che “chi è nato qui non ha nulla da temere perché il fiume Ural sfamerà tutti”. Me l’ha detta un avvocato, non un pescatore o un barcaiolo. E l’ho trovata commovente».

    Il suo primo romanzo, È colpa di chi muore, si svolgeva in quella che poteva essere Ravenna. Qui invece siamo lontani e anche i protagonisti non sono italiani. Esigenze narrative o anche una sua voglia di allontanarsi?

    «Avendo trascorso in Kazakhstan, per motivi extra letterari, il tempo giusto per rimanerne stregati, ambientare lì la storia mi è stato quasi inevitabile. Gli impedimenti oggettivi, che andavano a rallentare eventi che invece avrebbero avuto la necessità di accelerare, e le condizioni, più ambientali e linguistiche che climatiche, rappresentavano il contesto migliore in cui far precipitare tutto. Anche la scelta di diversificare linguisticamente l’origine dei due protagonisti è funzionale al contesto, perché rappresenta anche due modi opposti di rapportarsi alla vita. Da una parte Ivan, perfino naïf nella sua volontà di appartenere a un mondo di cui è solo ospite e che forse nemmeno lo vuole, e dall’altra Martha, che lo smaschera».

    In Corpi estratti dalle macerie la crescita tecnica e stilistica, rispetto al suo pur ottimo esordio, è notevolissima. Che cos’è successo tra le due opere?

    «In realtà avrebbero potuto – e forse anche dovuto – essere molto più diverse, perché una ha una matrice più classica mentre questa è d’ispirazione prettamente teatrale. Si tratta in ogni caso di racconti lunghi o romanzi brevi che dir si voglia, narrati in terza persona con una forte presenza del dialogo mimetizzato nella narrazione. È cambiata forse la densità. Quando si lavora su quantità così limitate viene naturale scavare. I concetti che vengono sviluppati in un racconto di queste dimensioni devono essere necessariamente pochi, se non si vuole correre il rischio di trattare le cose con superficialità. Nel romanzo precedente c’era un antefatto che muoveva la storia in modo quasi cronologico, con dissolvenze al nero di derivazione cinematografica ed ellissi narrative che lasciavano spazi da riempire. Qui siamo quasi alle tre unità aristoteliche».

    Spesso la narrazione sembra un testo teatrale: ha pensato a una messa in scena?

    «La verità è che nasce come testo teatrale “classico”, se così si può dire. La mia tesi di laurea era sul teatro di Arthur Miller messo in scena da Luchino Visconti, e quando per tanti anni studi e leggi e ti appassioni a quel tipo di teatro è ovvio che poi ti viene da scrivere allo stesso modo. Fortunatamente sul mio percorso ho incontrato Alessandro Agus, di Quarup Editrice, che mi ha fatto capire quanto sarebbe stato anacronistico pubblicare un testo fatto di battute dialogiche e indicazioni di regia, come invece si faceva ai tempi di Miller, Eugene O’Neill, Tennessee Williams e compagnia. Sarebbe stato come rifare il King Kong ancora con i pezzi di plastilina».

  3. Andrea Broggi

    Franco Calandrini – Corpi estratti dalle macerie
    di Andrea Broggi, Lettere e giorni, 18 dicembre 2013

    “Ci sono cose che si possono dire e altre solo pensare. Invertire il loro ordine naturale solitamente sconvolge l’ecosistema domestico”

    Esistono, come si sa, libri il cui scopo è far esplodere la loro stessa realtà.
    È una loro caratteristica naturale, le idee che contengono sono bombe a orologeria il cui innesco è negli occhi di chi legge e i loro autori ne sono consapevoli, chi più, chi meno.
    Esistono poi, anche autori, che come fossero minatori post moderni con tanto di scafandri e piccoli fari di profondità montati sul casco, imbracciano la penna come un piccone, a volte, i migliori, i più audaci, come un candelotto di dinamite.
    Corpi estratti dalle macerie, è il titolo di questo libro d’amore che sarebbe potuto diventare qualsiasi altra cosa, dopo il passaggio di Calandrini, l’autore.
    Comincia con un rintocco di campane, come a enfatizzare la riunificazione della coppia nella stanza e come sempre accade nei drammi racchiusi da un’unica scena, non serve null’altro che la presenza umana per generare tutto. Ogni cosa.
    I dialoghi di Calandrini sono un timer e ogni secondo che passa sembra sempre più amplificato del precedente, è come se studiasse i suoi stessi personaggi, come se li osservasse attraverso una telecamera sempre più ossessiva e volesse così carpire in questa osservazione ogni loro più nascosta perversione.
    L’uomo e la donna del libro non sono tutti gli uomini e le donne del mondo. Non c’è qui il senso di universale e non è quello il fulcro. Forse non è nemmeno la tensione crescente, quel senso di violenza nichilista e inarrestabile insieme. Il fulcro è, invece, in quel titolo che incombe sulla testa del lettore dalla prima pagina, come un onomatopeico gong a scandire l’ore di un pendolo, è in quelle macerie. Non è importante il come, ma è lì che dovranno essere trovati, perché è lì che Ivan e Martha inconsapevolmente già si trovano e quando due mondi sono prossimi alla collisione non c’è altro da fare che restare a rimirarne la fine. E se il rintocco delle campane è il simbolo di un giorno nuovo, la freschezza di un inizio ancora pieno di speranze, la ripetitiva artificiosa suoneria di Skype spegne nel suo gelo informatico tutte le luci, illuminando con solo la luce diafana del monitor di un pc la scena finale.
    Buona lettura.
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  4. Davide Spampinato

    “Corpi estratti dalle macerie”
    di Davide Spampinato, L’EstroVerso, 5 novembre 2013

    In un residence a poche centinaia di metri dal fiume Ural, Ivan e Martha, amanti in crisi, bloccati da un’incessante bufera all’interno della stessa stanza, sono costretti al ruolo di prigionieri l’uno dell’altra. La tempesta di neve dilata i tempi dell’incontro (scontro) tra i due in vista della risoluzione finale che rovescia – con espedienti da tragedia greca – ogni certezza acquisita.

    L’opera di Franco Calandrini si caratterizza per lo spiccato andamento dialogico, più serrato e stringente nella parte conclusiva del racconto. Il numero – ridotto all’essenziale – di personaggi sulla scena, uno stile espressivo monocorde, a suo modo realistico, l’ambiente bloccato nell’hic et nunc, sembrano guardare da vicino alle unità aristoteliche, svincolando quasi l’operetta dall’ambito della narrativa e accostandola sorprendentemente a quello della drammaturgia. Il tema della morte, evocato allusivamente dal titolo, è piuttosto un pretesto per imbandire una disadorna “camera della tortura”: da qui si arriva alla verità per spoliazione, scarnificando la coscienza da ogni certezza borghese.

    Non privo di suggestioni pirandelliane, il racconto si avvicina, a tratti, alla lezione di A porte chiuse di J. P. Sartre (l’inferno è l’altro). La pagina di Calandrini – che pure registra imprecisioni nella marcatura dei dialoghi e in certe depressioni di stile, spesso troppo concessivo nei confronti dell’oralità – segna un buon passo in avanti rispetto a È colpa di chi muore. Nella sua – ricercata – rudezza rimane una lettura che consigliamo per il modo in cui sa rovesciare posizioni e prospettive.
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  5. Ilaria Florio

    “Corpi estratti dalle macerie” (Quarup 2013)
    di Ilaria Florio

    Corpi estratti dalle macerie (Quarup 2013) è l’ultimo romanzo di Franco Calandrini, noto per aver fondato il Corto Imola Film Festival e il Ravenna Nightmare Film Fest.

    Due personaggi, un uomo e una donna, Ivan e Martha, ed una camera di un residence che si affaccia sul fiume Ural, nella fredda “Atyrau, la città del fango, adagiata circa venti metri sotto il livello del mare, in piena depressione caspica, nel Kazakhstan sud occidentale, più vicino a Mosca che alla sua capitale”.

    È inverno, più precisamente Natale come testimonia l’albero addobbato presente nella stanza, e “il fiume ghiacciato e la bufera imminente funzionano da naturale deterrente per chi volesse, o dovesse, per qualche motivo, uscire di casa. Non che il problema si ponga adesso, ma non tarderà presto a presentarsi”. Nonostante la storia si svolga tutta fra quattro mura e nel dialogo fra due persone, l’autore riesce a mantenere alta l’attenzione e a farci scoprire di continuo nuove sfaccettature nel rapporto che lega i due protagonisti, due amanti che devono prendere una decisione difficile e combattuta e che alla fine chiuderanno la partita nella maniera forse più logica ma anche più sconvolgente: “Se l’erano dimenticati entrambi. Non sembra abbiano molta voglia di uscire. Fino a che sono lì dentro c’è ancora una speranza, anche se capovolta, per entrambi. Una volta usciti da lì non sarà tanto facile tornare indietro. Anzi, non lo sarà affatto”.

    Un dramma esistenziale che si svolge in una terra fredda e lontana, ma anche una storia d’amore simile a tante altre, dove la passione e i sentimenti devono fare i conti con la quotidianità e la cruda realtà della vita reale.

    Una narrazione efficace e a tratti dolorosa che potrebbe facilmente farsi largo tra gli schermi cinematografici o su un palcoscenico.

  6. Luciano Luciani

    Scontri di coppia in una sola stanza senza esclusione di colpi
    di Luciano Luciani, Libere Recensioni, 29 settembre 2013

    Balzato inopinatamente agli onori delle prime pagine dei giornali estivi per un maledetto imbroglio politico-diplomatico, ormai, come sempre accade per storie del genere, avviato a un repentino e definitivo oblio, il remoto Kazakistan fa da sfondo a Corpi estratti dalle macerie di Franco Calandrini, pubblicato dalla sempre benemerita editrice Quarup: un romanzo breve, o racconto lungo, di rara intensità sull’interno/inferno di una coppia alla ricerca del desiderio impossibile, quello che non conosce l’entropia dei sentimenti, non si deteriora e non si sfilaccia nel logorio dell’assurdo quotidiano.
    Filmaker, scrittore ed evidentemente uomo di teatro, l’Autore intreccia abilmente nella sua narrazione un non luogo con un non tempo: lo scenario claustrofobico di una sola stanza in un lussuoso residence a poche centinaia di metri dal fiume Ural che divide in due parti Atyrau, “la città del fango, adagiata circa venti metri sotto il livello del mare, in piena depressione caspica” nei giorni insensati delle festività natalizie di uno degli anni di questa nostra malmostosa contemporaneità. Invernale, ghiacciato, il paesaggio, sospeso tra due continenti, tra un anno che muore e uno presumibilmente altrettanto morto che fatica a nascere: due signori Nessuno, Martha, “contabile tedesca, capelli folti e mossi rosso rame, maestosa, abbondante, regale, un viso bellissimo, deturpato da una cicatrice” e Ivan, “ construction manager, slovacco, piccolo, arcigno calvo, muscoloso un fascio di nervi nudo”, amanti clandestini ma non troppo, forti ancora di una loro carnale, feroce sensualità, se le danno, metaforicamente e non, di santa ragione, attingendo a un vasto repertorio di colpi bassi, rinfacciandosi gelosie e delusioni, invidie e fughe dalle responsabilità… Le parole diventano allora armi improprie, oggetti contundenti, clave che usate senza nessuna pietas fanno un male cane. Come pure i silenzi, densi, cattivi che spezzano le manifestazioni d’affetto, bloccano la spontanea effusione dei sentimenti. E tutto sotto l’occhio implacabile e maligno di un collegamento Skype, il moderno cordone ombelicale dei nostri tempi globalizzati che propone e ripropone, ossessivamente, il terzo lato dell’eterno triangolo amoroso: il marito di lei, presenza tanto rimossa, quanto ingombrante e invadente. Utile, però, a scatenare sensi di colpa e rimpianti e a far crescere la tensione tra i due verso l’acme di un contrasto lancinante, figlio di un’opaca incomunicabilità e di un’acutissima sofferenza interiore.
    Senza pause, né cadute di tensione Calandrini conduce il suo dramma teatrale in forma di romanzo verso un umanissimo, sorprendente, precipite finale: nessun vincitore, nessun vinto. Resta solo da raccogliere, se e quando è possibile, quello che resta: le rovine che si depositano tra noi, dentro di noi, quando abbiamo esaurito il tempo fisiologico della distruzione di ciò che amiamo.
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  7. Alfredo Ronci

    Franco Calandrini, Corpi estratti dalle macerie
    di Alfredo Ronci, Il Paradiso degli Orchi

    Il rintocco delle campane scocca un’ora imprecisata. Per adesso accontentiamoci di sapere che è pomeriggio. Nevica su Atyrau, la città del fango, adagiata circa venti metri sotto il livello del mare, in piena depressione caspica, nel Kazakhstan sud occidentale, più vicino a Mosca che alla sua capitale.
    E in un hotel di questo inferno quasi di stenti c’è Martha (non diciamo la sua provenienza), capelli folti rosso rame, abbondante e regale, con il viso leggermente deturpato da una cicatrice, e Ivan (lo stesso), piccolo, arcigno e muscoloso.
    Cosa succede in questo maniero?
    A dire la verità nulla. Nulla nel senso che tra uno sberleffo e un altro, tra una ferocia ed un’altra, quel che poi si segnala è una forte passione e un forte senso di appartenenza.
    Corpi estratti dalle macerie è un romanzo bisbigliato (anche se poi le urla si sentono eccome), è una storia che sembra prolungata nel tempo, ma che ha anche una corporeità attuale e segnata dalla mise-en-scène più materiale.
    Cos’è allora che non funziona in questo quadro di amori e passioni travolgenti? Cos’è che non funziona in questa commedia di alti e bassi, dove il coinvolgimento è totale solo nel momento in cui ognuno dei due ha perso la strada del ritorno?
    Non funziona l’amore.
    Non funziona il modo di risvegliarsi e cantare la prima cosa che viene in mente, perché quella che si avverte è sempre la seconda.
    Non funziona perché c’è un terzo: Allora dài facciamo un gioco, io faccio delle supposizioni e tu le chiudi. Ok? Dài, è un gioco bellissimo. Mettiti lì. No? Fa niente, mi stendo io. Senti: io adesso mi fermo qui e dico ad Ermes che non torno, secondo te che succede? Te lo dico io. Prende il primo volo e mi viene a prendere.
    Ma anche l’eventualità del terzo verrebbe meno se ci fosse la volontà di fare meglio, di costruire qualcosa che sia in grado di superare non solo le passività del momento, ma anche le incertezze di tutta una vita.
    Corpi estratti dalle macerie è proprio questo: faticare per trovarsi tra le dita non soltanto l’esito di un’esistenza, ma anche di un momento.
    Il tentativo ultimo di far sì che il botto finale sia davvero quello mi lascia molto perplesso. C’è qualcosa che non racconta.
    E che muore comunque.
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  8. Roberto Artioli

    Franco Calandrini torna in libreria con una difficile storia d’amore
    di Roberto Artioli, Corriere Romagna

    Il secondo romanzo di Franco Calandrini è in libreria. La vena letteraria del creatore del “Cortoimolafestival” e del “Ravenna Nightmare Film Fest’ prosegue dopo l’esordio di due anni fa con È colpa di chi muore.

    Ora Calandrini firma Corpi estratti dalle macerie (edito da quarup), dramma esistenziale che coinvolge un uomo e una donna, in una terra lontanissima e sconosciuta ai più, almeno fino a qualche giorno fa: il Kazakhstan. Relegati in un appartamento in un lussuoso residence nella città di Atyrau, la coppia sta vivendo una storia d’amore difficile. La donna è infatti sposata con un altro uomo. La bufera imperversa fuori dalla struttura. È impossibile uscire. Il freddo, la neve e il vento impediscono ogni via di fuga e la coppia è costretta al confronto. L’uno non può sfuggire all’altro. Solo saltuari collegamenti con Skype interrompono il “duello” tra i due. «Il libro è ambientato in un luogo che ho frequentato per motivi di lavoro – spiega l’autore – e mi è sembrato perfetto per una storia di forti sentimenti. Ad Atyrau nessuno parla inglese, è una terra dove non si può rimanere passivi. Bisogna fare in fretta a comprendere qualche nozione di cirillico, altrimenti diventa impossibile perfino prenotare un taxi. In questo luogo i due protagonisti si ritrovano in una situazione che li mette di fronte alle loro responsabilità. Il tutto si svolge a poche centinaia di metri dal fiume Ural che è linea di confine tra Europa e Asia. Fuori c’è una tempesta di neve. Il freddo in Kazakhstan è qualcosa di insostenibile e finché non lo si sperimenta di persona è difficile comprenderlo».

    Calandrini racconta una storia d’amore complicata, e forse compromessa, dove si è persa la spinta iniziale e accade qualcosa che costringe i protagonisti Ivan e Martha a prendere le cose sul serio: «È una storia come tante altre – spiega Calandrini –; il corteggiamento e l’innamoramento hanno lasciato spazio al quotidiano solo che ora i protagonisti devono prendere una decisione importante, vitale e fanno di tutto per non affrontare la situazione. Fino a che rimarranno nell’appartamento sanno che ci sarà ancora una speranza. Una volta usciti di lì non sarà facile tornare indietro». Calandrini parla anche dello stile narrativo prescelto: «La prima stesura assomigliava molto a una pièce teatrale ma poi, col sapiente intervento dell’editore, abbiamo modificato il registro. L’editore ha svolto un ruolo prezioso e fondamentale per la riuscita di un libro che a livello narrativo richiama esplicitamente il drammaturgo francese Bernard-Marie Koltès».

  9. Stefano Coccia

    Corpi estratti dalle macerie. Conversando con Franco Calandrini
    di Stefano Coccia, Gothic Network, 2 luglio 2013

    I primi incontri che abbiamo avuto con Franco Calandrini, grande appassionato di cinema, hanno avuto quale cornice il Ravenna Nightmare, un festival internazionale dedicato all’horror che dirige con passione da diversi anni. E l’impatto è stato subito positivo. Attento ascoltatore, schivo, riservato, poco incline a starsene sotto i riflettori ma schietto e mordace qualora si tratti esprimere le proprie emozioni rispetto a un film, Calandrini è una di quelle persone con cui è interessante e piacevole confrontarsi. Lo è quando ci si sofferma sulla comune passione per determinati generi cinematografici, come pure se vien voglia di spaziare su altri argomenti.

    Tra le altre cose Franco Calandrini è anche uno scrittore. Ha esordito con È colpa di chi muore, romanzo noir, ma ad accendere la nostra curiosità è stata la recente pubblicazione di Corpi estratti dalle macerie; anche perché di quest’altro breve romanzo, pubblicato dalla casa editrice Quarup, conoscevamo già il particolare legame con certe esperienze di vita dell’autore, che per un periodo nemmeno troppo breve si è ritrovato a lavorare in un lontano paese dell’ex Unione Sovietica.

    Alla prova del nove, notevole è stata la nostra partecipazione emotiva al racconto; un’empatia generatasi scoprendo a poco a poco l’intenso e claustrofobico dramma sentimentale vissuto da Martha e Ivan, coppia di amanti originari di paesi diversi, schiaffati dalla loro compagnia petrolifera in un residence di lusso “a poche centinaia di metri dal fiume Ural”. Un lavoro per il quale sono entrambi professionisti molto apprezzati li ha portati fin là. Ed è questa frontiera sia geografica che dello spirito, con le temperature proibitive dell’inverno kazako e un terzo incomodo, il marito di lei, che via Skype sembra potersi materializzare da un momento all’altro, ad alimentare una tensione costante; una tensione che si manifesta attraverso la reclusione forzata in quell’interno sempre sul punto di implodere su sé stesso, così da fagocitare le ansie e le aspettative residue di una coppia in balia di meccanismi psicologici tanto crudeli, quanto difficili da gestire. Scrittura tagliente, forma inusuale, dialoghi e flussi di pensiero capaci di scolpire in poche pagine psicologie complesse, hanno reso la lettura di Corpi estratti dalle macerie oltremodo densa di suggestioni e di aperture verso sofferti mondi interiori. Di tutto ciò abbiamo scelto di parlare direttamente con l’autore, Franco Calandrini.

    Corpi estratti dalle macerie è il tuo secondo romanzo, dopo il noir “È colpa di chi muore”. Pensi che dall’esordio nella narrativa il tuo approccio sia mutato parecchio?

    Franco Calandrini: È quasi inevitabile pensare che, dove c’è un morto, specie se nel titolo, ci sia qualcosa di noir, ma io ho troppo rispetto e troppa considerazione di chi scrive veramente noir per potermi considerare facente parte di questa categoria di scrittori, che hanno una coscienza e una padronanza dei propri mezzi che a me manca del tutto. Io non sono così attrezzato. Tu poi sai benissimo cos’è il noir al cinema e in letteratura, quindi non ti sarà difficile capire che cosa intendo. Le mie storie procedono per quadri o piccoli spostamenti, a volte tentano spericolate ellissi drammaturgiche, ma poi le troviamo appena un po’ più avanti rispetto a dove erano partite. Mi piace iniziare il racconto molto in prossimità della sua fine naturale perché ti permette di utilizzare quel poco di tempo che rimane, più per scavare in profondità che per allontanarti dal punto d’inizio. I sette ottavi dell’iceberg è sempre meglio che restino sotto, a disposizione di chiunque abbia più immaginazione di me. Anche questa storia quindi s’inserisce in quel tipo di struttura, e questo anche nei primi racconti, quindi penso che l’approccio, anche se poi il risultato cambia, sia sempre il medesimo.

    E come sei approdato a una scrittura così densa, per nulla convenzionale, in cui le situazioni descritte, i pensieri e i dialoghi dei personaggi sono come immersi in un flusso continuo?

    Franco Calandrini: Guarda, avendo io iniziato a scrivere molto tardi, ho avuto tutto il tempo di capire quale fosse la forma narrativa a me più affine, e cercando di attingere a quegli autori che sento più vicini (Lodoli e McCarthy tra tutti, che ovviamente non lo sanno, ed è meglio così) il risultato è quello che puoi vedere, e che si ripete negli anni, che non so se possa considerarsi una cifra stilistica, ma il tentativo a cui tendo è quello. Questo tipo di scrittura mi è congeniale proprio perché le mie storie hanno uno sviluppo orizzontale e le azioni si svolgono spesso più nelle testa dei personaggi che sulla scena. Questo romanzo, ad esempio, che si muove tra le mura di un appartamento, rende quasi inevitabile la contiguità tra il parlato, il pensato e l’agito. Quello che dicono confluisce in un’azione che rimanda a pensieri e o cose non dette che creano comunque conseguenze sull’azione successiva.

    Sappiamo che l’ambientazione del tuo libro si lega, in qualche modo, a determinate esperienze di vita. Che cosa puoi dirci a riguardo?

    Franco Calandrini: Non amo molto la descrizione di luoghi o di persone, un po’ perché non lo so fare e un po’ perché se non sei Conrad rischi di annoiare e basta. Ma se non fossi stato in Kazakistan non avrei mai potuto scrivere questa storia. Non perché non possa svolgersi in ogni altra parte del mondo (l’ambizione di uno scrittore in fondo è questa: narrare qualcosa di particolare che abbia valore universale): solo che se non avessi sentito il freddo (che noi europei nemmeno immaginiamo) sulle mie ossa, se non avessi mangiato in posti di lusso (kazako) a due euro a pasto completo e in mense modestissime a 50 centesimi, se non avessi impiegato un giorno per cercare una stampante a colori, se non avessi imparato a leggere quel poco di cirillico che ti permette di distinguere almeno una bottega di generi alimentari da un negozio di scarpe (dato che oltre i vetri oscurati che danno sulla strada non si vede niente), se non avessi perso un intero pomeriggio per comprare un pc e una stampante, rendendomi poi conto che è normale che sia così, se non avessi visto pescare e camminato sul fiume Ural ghiacciato, se non avessi imparato quelle poche ma essenziali frasi in russo che fanno la differenza tra chi se la può cavare da solo e chi no, se non avessi sentito lì, mentre si attraversa il ponte che divide l’Europa dall’Asia nell’abitacolo di un taxi che dire fatiscente è un complimento, le canzoni di Vladimir Vysockij, un autore immenso , probabilmente avrei capito ben poco dell’approccio alla vita che hanno i nativi, e la mia visione sarebbe stata paragonabile a quella di qualsiasi altro espatriato privilegiato.

    Rapporti di coppia in crisi. Scelte eticamente difficili. Delicati equilibri emotivi. Le tematiche scandagliate attraverso questa relazione così problematica sono indubbiamente forti; che cosa ti ha spinto a raccontare simili personaggi, con il loro sofferto bagaglio interiore?

    Franco Calandrini: Mi interessava indagare il confine che divide il buon senso dalla codardia, il senso di responsabilità dal fanatismo. Qual è il carico che siamo disposti a sopportare prima di nasconderci o girare lo sguardo da un’altra parte? In questa storia, che si sviluppa, (ma certo non si risolve) nel giro di poche ore, si scava alla radice dei sentimenti, sia quelli più nobili che quelli più vili. Dinamiche ben riconoscibili nel rapporto d’amore di ogni coppia che vive momenti inziali di passione che sembra non debba mai esaurirsi, ma che poi si trova a dover fare i conti con il quotidiano di fronte al quale, il più delle volte, specie se abbiamo vissuto amori importanti, non siamo disposti a tollerare. Ma c’è ancora qualcosa di più e di diverso in questa storia, c’è un elemento che non solo ci interroga sul senso della vita, anzi, meglio, del “dare la vita”, qui c’è la domanda che sta alla base di ogni scelta morale, religiosa e perfino razziale: quale tipo di vita siamo disposti a generare?

    Pensi che la forte coesione drammaturgica del tuo racconto si presti, senza grosse forzature, a un possibile adattamento teatrale?

    Franco Calandrini: Sai, a dire la verità la forzatura è stata romanzare quella che era nata come una pièce teatrale e che ovviamente, se non sei drammaturgo consolidato, nessuno ti pubblica. Il mio editore, oltre ad essere estremamente preparato, è stato un grande stratega: prima mi ha blandito paragonando il mio lavoro a quello di Bernard-Marie Koltès, portandomi in una direzione che usciva dalla forma teatrale classica, poi, scampato il pericolo, mi ha ricondotto sulla sponda di Cormac McCarthy, e lì ha impiegato pochissimo tempo a convincermi su quale fosse la strada da intraprendere. E a quel punto il gioco di prestigio era già fatto. Comunque, a dire il vero, per tutto il tempo della scrittura, non solo l’ho immaginata come pièce teatrale, ma per facilitarmi i gesti e i dialoghi immaginavo pure i due protagonisti (che altri non potevano essere se non Kate Winslet e Shia LaBeouf… non so, se ti capita di farci un’intervista, diglielo!). Comunque ad oggi c’è l’interesse di farci un film girato assai probabilmente nei pressi di Bratislava, con una co-produzione Italia – Repubblica Slovacca ancora tutta da impostare, ma sono piuttosto fiducioso che un film o uno spettacolo teatrale si riesca a fare entro il prossimo anno.

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  10. Federica Angelini

    Il nuovo libro di Calandrini: bello e doloroso
    di Federica Angelini, Ravenna & Dintorni, 02 luglio 2013

    Per chi aveva letto il precedente È colpa di chi muore edito da il Maestrale, questa seconda prova, Corpi estratti dalle macerie del ravennate Franco Calandrini, noto in città per essere il fondatore, tra le altre cose, del “Nightmare Film Festival”, produttore di documentari e cortometraggi, non è una sorpresa. Calandrini si conferma infatti scrittore di talento, con una predilezione per storie minime, con pochi personaggi, atmosfere cupe e intense, che toccano temi e significati essenziali, mai decorativi. In questo caso, l’ambientazione è quasi claustrofobica. Due persone, due amanti, si trovano in un residence anonimo vicino al freddo e misterioso fiume Ural, mentre sta per arrivare una tempesta di neve. Collegamento con il mondo Skype, mezzo per attivare il triangolo con il marito di lei, nonché collega e amico di lui. Nel mezzo una, anzi due, tormentate storie di amore, passione, maternità. Dialoghi serrati, tensioni, parole taglienti come lame, gesti minimi. Fin troppo facile, pensando a Calandrini, parlare di una sceneggiatura già pronta per un film che indaga le complicazioni dell’amore, le contraddizioni di un rapporto di coppia che sembra sottolineare soprattutto le solitudini incolmabili di sofferenze non condivisibili. Quei corpi estratti dalle macerie dei sentimenti, alle prese con il dilemma esistenziale della vita (perlomeno di molte donne). Se siete alla ricerca di una lettura estiva di tutto relax, lasciate perdere. Se siete alla ricerca di un bel libro ma che fa molto male, l’editore è Quarup, 12,90 euro il prezzo di copertina.

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