Benvenuto sul sito di Quarup Editrice
Una idea di letteratura

AMERICA 2.0 Canzoni e racconti di una grande illusione

(24 recensioni dei clienti)

13.00

In America 2.0 Fabio Cerbone raccoglie per strada le sue short stories, ispirate dal suono e dalle parole di composizioni della tradizione folk-rock americana.

ACQUISTA ONLINE
Categorie: , Product ID: 1435

Descrizione

Si può raccontare un’idea di America partendo dalle suggestioni letterarie che sprigionano alcune canzoni? E soprattutto lo può fare un autore italiano, dal suo punto di osservazione, al tempo stesso distante e vicino all’oggetto?

In America 2.0 Fabio Cerbone raccoglie per strada le sue short stories, ispirate dal suono e dalle parole di composizioni della tradizione folk-rock americana. Cercandole in quella irripetibile generazione di musicisti, sbocciata a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, e influenzata tanto dalla letteratura e dalla poesia dei Beat quanto dalla rivoluzione elettrica di Bob Dylan e dalle note fuorilegge di Johnny Cash, l’autore fotografa i margini del cosiddetto “sogno americano”, mostrandone il tradimento e l’illusione.

Suggestioni musicali (ogni storia è percorsa da un suono, dal verso di una canzone…), geografiche e letterarie  che si intrecciano: le storie diventano così un album perfetto, in equilibrio tra musica e sensibilità narrativa, secondo lo sguardo degli artisti che hanno firmato i brani originali, da Bruce Springsteen a Kris Kristofferson e Steve Earle, passando per eroi di culto come Townes Van Zandt o John Prine.

Due ideali facciate che al ritmo delle chitarre sostituiscono quello della pagina scritta.

Fabio Cerbone

Fabio Cerbone (Lodi, 1975) è innamorato dell’America. Scrive di musica e cultura degli Stati Uniti per passione e, quando ci riesce, per lavoro. Collaboratore di svariate fanzine e riviste, ha ideato nel 2001 il web magazine RootsHighway – www.rootshighway.it – luogo virtuale in cui si occupa dell’immaginario del rock e delle sue radici letterarie e sociali. Ha pubblicato, per Selene Edizioni, i volumi Easy Ryders. Sogni e illusioni Americane (2005) e Fuorilegge d’America. Hank Williams, Johnny Cash, Steve Earle (2007), galleria di vite scapestrate di musicisti/banditi. Per la serie Fanclub di Pacini Editore ha firmato il saggio Levelland. Nella periferia del rock americano (2009), dedicato alla cosiddetta scena alternative country. Nel 2012, all’interno della collana I Cattivi di Bevivino Editore, ha curato Born in the USA, ironico ritratto pop della vita da presidente di Ronald Reagan.

Informazioni aggiuntive

Autore

Collana

ISBN

9788895166346

Pagine

176

Anno

2015

Formato

14×21

24 recensioni per AMERICA 2.0 Canzoni e racconti di una grande illusione

  1. Fabio Ravera

    Fabio Cerbone, l’America 2.0 raccontata in note e parole
    di Fabio Ravera

    Una manciata di canzoni della tradizione folk-rock a stelle e strisce si trasforma in “short stories”, brevi testi che scavano negli States del Duemila

    Un libro che procede al ritmo di un disco, in cui una manciata di canzoni, più o meno note, della tradizione folk-rock statunitense si trasformano in “short stories”, storie brevi per raccontare un’idea di America. C’è un po’ di Raymond Carver, un po’ di Jim Thompson ma soprattutto una spiccata originalità creativa in America 2.0 – Canzoni e racconti di una grande illusione (Quarup editrice), l’ultimo libro firmato dal lodigiano Fabio Cerbone, scrittore innamorato della cultura a stelle e strisce che in passato aveva pubblicato diversi saggi di critica musicale, tra cui Easy Ryders. Sogni e illusioni americane (2005), Fuorilegge d’America. Hank Williams, Johnny Cash, Steve Earle (2007) e Levelland. Nella periferia del rock americano (2009). Cerbone è inoltre ideatore del web magazine RootsHighway (www.rootshighway.it), luogo virtuale in cui si occupa dell’immaginario del rock e delle sue radici letterarie e sociali.
    Il nuovo libro verrà presentato oggi pomeriggio (ore 17) alla libreria Zig Zag in via Libertà a San Donato Milanese. Partendo da brani di Bruce Springsteen, Tom Waits, Tom Petty, Steve Earle, John Prine (ma anche di autori meno noti in Italia come Townes Van Zandt o Kris Kristofferson), Cerbone offre un’inedita panoramica di sogni, suoni e visioni americane rivisti attraverso un’ottica narrativa. “Canzoni e racconti di una grande illusione”, come recita il sottotitolo del volume, si intrecciano tra raffinate suggestioni musicali e la percezione di una terra lontana, affascinante, misteriosa, che il più delle volte è un luogo della mente. «Ho sempre scritto di critica musicale, ma nei miei libri c’era spesso anche una componente narrativa» – racconta Fabio Cerbone – «Per questo è nata l’idea di scrivere un libro di racconti, partendo però dal mio ambito privilegiato, la cultura musicale americana».
    In totale America 2.0 raccoglie undici canzoni, divise in “Side A” e “Side B” come ideali facciate di un album che al ritmo delle chitarre sostituisce quello della pagina scritta. «Non ho scelto le canzoni più belle o che apprezzo di più, ma quelle che raccontano storie e personaggi particolari. Sono partito con una trentina di brani, poi via via ho scremato fino a ottenere la “playlist” ideale per scrivere i miei racconti. Il libro è una sorta di viaggio nell’America che segue anche un percorso geografico. Ho voluto dare un’idea di America “marginale”, alimentata anche da suggestioni letterarie che sono nel mio bagaglio culturale».
    Ne esce così un libro molto cinematografico nei dettagli e nel ritmo, che partendo dalla strada, dai bassifondi, dalle sconfitte e dai fallimenti racconta il grande equivoco del sogno americano.

  2. Anna Anselmi

    Dalla Louisiana al Montana alle chiacchiere padane
    di Anna Anselmi

    Festival dal Mississippi al Po. Conversazioni con Burke, Filios, Cerbone, Villani e Cecchetti

    Dalla Louisiana al Montana, passando poi in rassegna un po’ tutti gli States, per finire dalle nostre parti ad ascoltare più sommessamente le chiacchiere da bar, fucine di cattiverie e veleni. La mattina del secondo giorno del Festival blues Dal Mississippi al Po si è svolta sotto i portici di Palazzo Gotico con la presenza del nuovo marchio editoriale, Unorosso, per il quale è imminente l’uscita del romanzo Creole Belle, di James Lee Burke. di cui ha parlato l’editore Fabrizio Filios, annunciando la prossima traduzione anche della successiva indagine del commissario Dave Robicheaux, creato dalla penna dello scrittore che vive tra la Louisiana, dove ambienta i suoi libri, e il Montana, lo Stato di origine anche dell’amico e collega James Grady, che ieri, tra il pubblico, è intervenuto per precisare come in lingua originale Burke sia apprezzato specialmente per la prosa cristallina e per la capacità di fondere magistralmente le atmosfere di zone così diverse dell’America.
    Gli Stati Uniti si sono poi idealmente attraversati con le pagine del libro America 2.0 del lodigiano Fabio Cerbone. Nel volume, edito da Quarup, ogni capitolo è associato a una canzone. «Come critico, ho sempre scritto di musica adottando uno stile narrativo, attento alle storie. Così questa volta ho deciso di ribaltare un po’ il ragionamento, prendendo le canzoni a pretesto e trasformandole in un racconto». In ciascuno agiscono i personaggi evocati nel testo della rispettiva canzone: «Il racconto è di pura finzione, ma ho cercato di rispettare il più possibile i personaggi originali».
    Con qualche licenza, fin dal primo racconto, Michigan Avenue, tratto da Used cars di Bruce Springsteen, rivisitata prendendo a protagonista una famiglia afroamericana. Il genere coinvolto nel volume è soprattutto il folk country delle canzoni d’autore, ma non mancano, qua e là, riferimenti alle radici blues. Dal Midwest si attraversa il sud per approdare in California e, tra una e l’altra di queste tre sezioni, ulteriori citazioni musicali hanno il compito di fornire un raccordo.
    Con lo scrittore Andrea Villani e il disegnatore Riccardo Cecchetti si è invece tornati in atmosfere padane, con la loro graphic novel M’han detto che, pubblicata dalla piacentina Nuova editrice Berti. Villani ne ha spiegato la genesi, collegata al microcosmo dei bar, dove il pettegolezzo in apparenza più banale, «spesso troppo sottovalutato», può trasformarsi in una piaga difficile da guarire. Villani ha fornito i testi, che Cecchetti, formatosi alla “scuola” della rivista satirica Frigidaire, ha tradotto in disegni: «Mi piace sperimentare e sono sempre alla ricerca di nuove idee. Ho usato adesso una tecnica mista, dalla rielaborazione con programmi di fotoritocco all’acrilico, sovrapponendo anche pezzi di nastro adesivo e di juta».

  3. Gianfranco Callieri

    Gli Stati Uniti in frantumi: il nuovo libro di Fabio Cerbone
    di Gianfranco Callieri

    America 2.0, 11 racconti sulla dissoluzione del sogno americano

    Giornalista, saggista e conduttore radiofonico, Fabio Cerbone cura, dal 2001, il portale http://www.rootshighway.com (sul quale, per denunciare subito il macroscopico conflitto d’interessi alla base di questa recensione, interviene anche chi vi scrive), ma prima d’ora non si era mai cimentato con la narrativa pura. Oppure si può dire l’abbia in fondo sempre fatto, perché occuparsi di canzone d’autore americana, di rock, folk e tradizioni country, significa per forza di cose immergersi nei racconti, nell’immaginario, nelle profonde radici sociali di un tipo di comunicazione in concreto derivata dall’atlante romanzesco dei cantastorie del secolo scorso o delle grandi cronache orali appartenute ai pionieri del tardo ‘800. Come scriveva Mario Maffi, ricercatore espertissimo nel tema delle letterature dal basso, «La cultura orale, la comunicazione diretta, così presenti nel contesto urbano ad alta densità, sono forme di trasmissione di identità presenti anche nelle culture rurali d’immigrazione in particolare nel sud degli Stati Uniti, in spazi molto più dilatati ma dove il legame con il gruppo etnico è fortissimo», perciò, se la musica è stata insomma una cinghia di trasmissione tra il popolo e i suoi sogni, tra la nazione americana stessa e la sua continua ricerca di una personalità intrinseca e unificatrice, i musicisti di strada sono stati allora i suoi custodi, e dopo di loro il testimone – la capacità di costituire un indizio sociologico al di fuori dell’accademia – è passato ai jukebox, ai 45 giri, agli LP e infine, oggi, alle famigerate playlist di Spotify e altri servizi di ascolto in rete. Cerbone sceglie di raccontare l’America partendo dalle canzoni, come se avessimo in mano un vinile dotato di entrambi i lati e di entrambe le coste (dall’Est all’occidente, senza viaggio di ritorno), e da ognuno dei brani prescelti (in un repertorio che corre tra Bruce Springsteen e Tom Waits) trae una storia dove si fondono cultura rock e passione per gli scrittori senza fronzoli, nemici di ogni avverbio e di qualsiasi lungaggine. Quanto però emerge dalle undici short-stories di America 2.0 – Canzoni e racconti di una grande illusione, non è solo il catalogo delle passioni, degli ideali e perché no delle predilezioni estetiche dell’autore, ma un ritratto amaro e impietoso di un paese smarrito nella costante ricerca di una frontiera da attraversare, prigioniero di falsi miti (su tutti quello della cosiddetta «seconda opportunità») inadatti a preservarlo da una spaventosa fragilità, con l’insicurezza nel ruolo del sentimento dominante, la rassegnazione come cifra ricorrente di tutti i protagonisti e ciascuna parabola. In un continente che come nessun altro ha saputo incarnare il sogno di una nuova rinascita, l’ideale di un risveglio collettivo e individuale, ogni aspirazione sembra essersi frantumata in una perenne metafora del disorientamento pubblico: la dimensione comune a tutti i racconti di Cerbone è infatti quella della speranza tradita, destinata a ritorcersi contro chi la nutre in una spirale dolorosa di espedienti, miserie e impoverimenti. Il corso degli eventi oscilla tra il risentimento di classe dell’iniziale Michigan Avenue, in cui l’acquisto di un’auto nuova da parte di una famiglia di colore diventa la radiografia implacabile di una segregazione abolita a parole e nondimeno ancora viva e sanguinante nella quotidianità dei cittadini, al disilluso tono noir di Qualcosa di grande, passando per l’agrodolce confronto generazionale di I pozzi di Monahans, la gioventù perduta del dolente Il ballerino degli honky-tonk, l’amore scomparso di Frequenze clandestine e l’annientamento (anche fisico) dei proletari di provincia di Nella valle di Tecumseh, senza mai perdere di vista la prospettiva tutt’altro che tranquillizzante dei perdenti, la metafisica degli ultimi sempre pronti a tentare un’ennesima scommessa col destino (dagli esiti in genere disgraziati). Il racconto più bello s’intitola Johnny, arriva da una canzone del texano James McMurtry e intreccia i desideri modesti di una famiglia di medie ambizioni con la ribellione silenziosa di un figlio refrattario all’adattamento borghese: la cadenza delle parole è distesa, quasi colloquiale, e per undici pagine (tante ne conta l’esposizione) non sembra accadere granché, ma dietro la tristezza sottile dei genitori e la sorridente malinconia del loro primogenito si nasconde una disamina delle convenzioni sociali, un riflesso del paradiso promesso dalla cultura americana e tuttavia irraggiungibile ai più, degno delle disperazioni inafferrabili di John Cheever. In definitiva, complimenti alla casa editrice – la pescarese Quarup – per il sostegno garantito a (diversi) esordienti d’indubbio valore, e complimenti a Fabio Cerbone, per essere riuscito a trasformare la retorica e i luoghi comuni di tanta musica americana in un mosaico di sentimenti, illusioni e utopie spezzate da conservare a lungo negli angoli della memoria.

    Leggi la recensione nella sua pagina web

  4. Tiziano Cantatore

    America 2.0 Canzoni e racconti di una grande illusione
    di Tiziano Cantatore

    Fabio Cerbone scrive di musica e cultura americana da sempre. Lo fa con una capacità straordinaria, fino a proiettare il lettore nelle periferie e negli angoli più veri e crudi di un’America che non tutti conoscono, ma che vale la pena scoprire. In questo suo ultimo lavoro prende spunto dalle canzoni di straordinari musicisti della musica a stelle e strisce (Springsteen, Tom Waits, Townes Van Zandt, John Prine, Dave Alvin, Tom Petty, e tanti altri). Dove finisce la canzone partono le storie celebrate da Fabio. Ispirate dalle parole, dall’ambiente, da un punto di osservazione privilegiato e competente. È una magia. Le canzoni durano pochi minuti, ma nelle storie di America 2.0 viene raccontato tutto il resto. Un film che mostra quello che c’è dietro la storia narrata con la musica. Sembra di rivivere l’emozione che ha ispirato la canzone stessa. I personaggi prendono vita. Si muovono, parlano, raccontano le loro miserie, le gioie, i dolori, le sofferenze, gli amori, le delusioni e le speranze. I sentimenti si colorano negli ambienti di un’America dove non proprio tutto luccica. L’America dei “beautiful loser” descritti dagli autori delle canzoni a cui Fabio Cerbone fa riferimento. Pare di sentire gli odori dei motel, di strade polverose, dei bar, dei sedili di auto sgangherate, di letti sfatti, di sigarette fumate. Si rivivono i sogni dell’America, quella vera. Un turbinio di emozioni. Un modo geniale di partecipazione al rito, al culto della musica e della cultura americana.

  5. Blue Bottazzi

    Fabio Cerbone > America 2.0. Canzoni e racconti di una grande illusione
    di Blue Bottazzi

    Fabio Cerbone è un romantico del sogno americano. È lui il motore di Roots Highway, il sito web più curato sulla musica americana delle radici, ed è lui l’autore di un bel mazzo di libri sul sogno americano, da Easy Ryders Sogni e illusioni Americane a Fuorilegge d’America: Hank Williams, Johnny Cash, Steve Earle fino a Levelland, nella periferia del rock americano.

    Fabio Cerbone è anche un amico, dunque siamo in conflitto di interessi, che di solito nell’ambiente si risolve con una marchetta, nella speranza che alla prima occasione venga ricambiata.

    Il suo nuovo libro si intitola America 2.0, canzoni e racconti della grande illusione, ed è finalmente una raccolta di racconti della nuova frontiera, un traguardo naturale per un autore “beat americano”.
    La caratteristica peculiare di questi racconti è quella di essere derivati da canzoni rock, undici canzoni che hanno acceso l’immaginazione non solo di Fabio, ma di tutta una generazione di fruitori del rock’n’roll.

    Un’idea di fascino, che negli anni era passata in mente anche a me, quando scrissi (negli ottanta) il racconto Pretty Flamingo e poi il racconto di Natale di un paio di inverni fa.

    Il problema però dei racconti di Cerbone, dal mio punto di vista, è quello di non essersi solo ispirati, ma di diventare una versione in prosa delle canzoni in oggetto. E la prosa, non c’è verso, è sempre più debole della poesia. Cento parole non ne varrano mai quattro messe nell’ordine giusto, capaci nella loro semplicità ed essenzialità di evocare emozioni e immaginazione nell’ascoltatore.

    Hai presente un verso come: “Now mister the day the lottery I win, I ain’t ever gonna ride in no used car again” (stammi a sentire, il giorno che vinco alla lotteria non metterò mai più piede su una macchina usata) – qualsiasi parola tu possa aggiungere può solo diluire. Ognuno di noi ha un film su queste canzoni, guardare quello di un altro è pericoloso come andare al cinema a vedere il film di un libro che ami…

    Leggi la recensione nella sua pagina web

  6. Stefano Bocconetti

    Al cuore della grande illusione americana
    di Stefano Bocconetti

    Undici racconti ispirati ad undici brani: dal Boss a Tom Waits, passando per Guy Clark fino a James McMurtry. È America 2.0 di Fabio Cerbone, più che un libro una sorta di esperimento crossmediale tra musica e letteratura. E perché no, anche cinema…

    Se si ragiona con gli occhiali di chi fa cinema, si può dire che sia l’esatto contrario della procedura. Della procedura tradizionale. Qui si parte dalla colonna sonora, dalle musiche, dalle parole di quelle canzoni. Il resto, ne discende a cascata.

    America 2.0 è uno strano libro. Per cominciare è l’esordio in narrativa di Fabio Cerbone. Giornalista, saggista, conduttore radiofonico, ha alle spalle una lunghissima produzione: tanti volumi, tutti dedicati alla musica americana. Al rapporto fra la musica americana e quel mix di speranze, ambizioni e frustrazioni che la rendono possibile. A New York come a Minneapolis. Fino ad ora, però, s’è trattato di saggi. Anche se non proprio saggi accademici, scritti come può fare solo chi non solo studia la materia ma la ama, la “vive”. La interpreta.
    Ma il libro è strano soprattutto per il metodo adottato. Cerbone parte da undici canzoni, undici brani scelti. Da Used Cars, dello Springsteen essenziale di Nebraska, fino ai $ 29.00 di Tom Waits, passando per Guy Clark, per uno dei fratelli Blasters – Dave Alvin –, fino a James McMurtry, l’amico colto di John Mellencamp.
    Undici brani, un vero e proprio cd, che non segue un ordine cronologico, né una ricerca stilistica. Anche se tutte insieme, quelle canzoni, in fondo raccontano la stessa trama: quella di un’America dove i destini sembrano già segnati e nessuno può fare nulla per contrastarli. La raccontano col rock, col folk-rock, col blues, con l’honky tonky, la raccontano con qualsiasi cosa: ma sempre e solo di un’America che illude e abbandona. E da questa mini-selezione, l’autore trae spunto per raccontare undici short-stories. Inventate, ispirate ciascuna ad una canzone.
Lo sforzo è quello di tenere nei racconti il ritmo dei brani musicali. In Michigan Avenue, per dirne una, le undici pagine che aprono il libro – che si ispira a Used Cars del boss – pochi tratti bastano a tratteggiare le speranze di una famiglia di colore di Chicago, che vuole cambiare la propria auto. Poi, sempre con poche battute, quel clima di speranza, di “quasi festa” si disperde nella malinconia di chi è costretto a fare i conti con la discriminazione razziale. Magari non dichiarata, non aggressiva come 50 anni fa, ma ancora discriminazione. E finisce con l’amara constatazione che non è possibile cambiare. Il racconto si “spegne”, proprio come il brano di Springsteen.
    Lo stesso vale per tutte le canzoni. Con racconti più o meno riusciti. Più o meno ispirati. Dalla scontata storia della ragazza, stretta fra povertà e consuetudini che sa ribellarsi solo con la morte (e dove superficialmente ci si può trovare qualcosa di Townes Van Zandt) ai bellissimi dialoghi di Johnny. Che volutamente sembra non avere una trama ma solo parole. Quelle fra un padre e una madre che appaiono soddisfatti della loro “normalità” e del loro figlio che non sa cosa vuole, ma sa solo che quella normalità non fa per lui.
    Capitoli riusciti, altri meno, si diceva. Ma tutti legati da un filo: palese, evidente. Dichiarato. Tutti legati dalla descrizione di un paese che sembra capace solo di giocare a roulette col proprio destino. Che invece è già segnato, è sempre uguale: fatto di sconfitte, una dopo l’altra. Eppure quei protagonisti non smettono di scommetterci sopra, illudendosi sempre di avere una seconda possibilità. Che si rivela perdente come la prima.
    Certo, potrà obiettare qualcuno, tradurre una canzone in un altro linguaggio è un’operazione rischiosissima. Senza scomodare grandi riferimenti, basta ricordare il video di Michelangelo Antonioni che illustrò un brano di successo di Gianna Nannini. E quando la rocker nostrana cantava “questo amore è una camera a gas”, il regista faceva vedere una stanza che si riempiva di fumo. La didascalia sublimata ad arte.
La traduzione delle suggestioni che offre la musica, soprattutto di quella musica cara a Fabio Cerbone – che è stata la vera colonna sonora di un’intera generazione, la mia – comporta dei rischi, insomma. Perché i quattro accordi di Dave Alvin che accompagnano quelle terribili parole in Border Radio (“lei continuava a chiedersi perché se n’era dovuto andare”) forse sono più potenti di quelle quindici pagine dove si raccontano le ansie, le microscopiche gioie, le paure dei migranti messicani.
Libro rischioso, dunque. Ma è come se si trattasse di un azzardo a metà: dalla musica alle parole.
    È come se mancasse qualcosa. Allora forse al racconto e alle note andrebbero aggiunte anche le immagini. Un film, insomma, un film con quelle undici storie. Per valutare davvero l’esperimento, per capire una volta per tutte se la musica si può tradurre.

    (noi abbiamo scelto le immagini di Nebraska di Alexander Payne)
    Leggi la recensione nella sua pagina web

  7. Nicola Gervasini

    “Ex libris”
    di Nicola Gervasini

    Chi ama la musica sa bene cosa vuol dire immaginarsi una canzone: ci sono un testo, una storia, un suono e un ritmo, e insieme creano un immaginario che per l’ascoltatore non è mai lo stesso dell’autore. E quell’immaginario può essere visivo, se da un brano nasce l’idea di un film (pensate a Lupo solitario di Sean Penn, per esempio, ispirato da Highway Patrolman di Bruce Springsteen), ma anche letterario, se dalle sensazioni create da una serie di brani cardine per la musica americana Fabio Cerbone ha tratto ispirazione per la raccolta America 2.0. Canzoni e racconti da una grande illusione. In puro stile Raymond Carver, il giornalista musicale prova a narrare nuovamente la provincia americana, tracciando, storia dopo storia e brano dopo brano (Springsteen ancora una volta presente con Used Cars), una sorta di nuova geografia delle miserie e delle contraddizioni di una nazione che, volenti o nolenti, ha condizionato il mondo culturale del secolo scorso, ma che ora fatica a trovare una nuova identità egemone. Il punto di partenza è sempre una canzone di alcuni grandi autori come Tom Petty, Tom Waits, Kris Kristofferson, Townes Van Zandt, Dave Alvin, James McMurtry, John Hiatt, John Prine, Guy Clark e Jerry Jeff Walker, ma l’arrivo sono vicende completamente nuove che, tra citazioni musicofile e rimandi letterari colti, parlano di un’America non più mitica e sempre più lontana dal resto del mondo, vista da chi continua però a sviscerarne con passione i mezzi espressivi.

  8. Luciano Luciani

    America 2.0: tra musica e voglia di raccontare
    di Luciano Luciani

    Quante Stars and Stripes abbiamo nel nostro Dna?
    Quanto cinema, musica, letteratura, fumetti made in Usa agiscono nel nostro immaginario e nei nostri stili di vita?
    Almeno due generazioni, a dir poco, di europei venuti al mondo all’indomani del secondo conflitto mondiale hanno vissuto e vivono ancora emozioni e miti nati ed elaborati al di là dell’oceano: la loro straordinaria, formidabile pervasività ci ha resi tutti, chi più chi meno, se non figli almeno nipoti della Grande Nazione amata e odiata, desiderata e negata, imitata e contestata.
    Giornalista e scrittore, l’italianissimo Fabio Cerbone (Lodi, 1975) di America, dei suoi valori e delle sue storie, è intriso fino alle midolla e ne utilizza con sapiente naturalezza convenzioni, codici e canoni. Così, in undici short stories spesso dure e dai bordi lacerati e taglienti, collocate sugli scenari dell’America, irripetibile, degli anni Sessanta e Settanta, Cerbone ripropone il sentire diffuso, forse superficiale ma sincero e autentico, della generazione, generosa e sconfitta, che tentò l’assalto al cielo di farsi protagonista della storia e del mondo. Le pagine del suo America 2.0. Canzoni e racconti di una grande illusione, recentemente pubblicate da Quarup, ci raccontano, infatti, di camionisti e reduci del Vietnam, di viaggi da costa a costa e di famiglie afroamericane alla ricerca di una faticosa dignità, di carceri disumane e motel tutti uguali. E poi storie di donne perdute e musicisti rock, di clandestini messicani e hippie on the road, di falliti in perenne tensione per una seconda occasione e di canzoni lanciate nella notte alla ricerca di orecchi e cuori attenti…
    Sì, il filo conduttore di queste storie è la musica: quella che va da Elvis a Bruce (passando per Tom Waits, Kris Kristofferson, John Prine…) quando gli States erano all’avanguardia nella ricerca, sempre attraverso la musica – ma non solo –, di un’identità generazionale: forse confusa nei suoi contorni, forse velleitaria, ma senz’altro pacifista, sensibile ai temi ecologici e alla giustizia sociale, insofferente a ogni forma e manifestazione di autorità, dal padre al professore, dal poliziotto al presidente degli Stati Uniti.
    Le narrazioni di Cerbone, ognuna introdotta e attraversata dal verso di una canzone, sono organizzate nel Side one e Side two di un disco ideale in equilibrio tra le musiche interiori che ognuno di noi si porta dentro – la colonna sonora della nostra esistenza – e il piacere ampio, disteso di raccontare vicende di uomini e donne, tempi e geografie insieme veri e favolosi, concreti e mitizzati: un’idea dell’America nutrita da un amore appassionato per la sua cultura e la sua musica. Per i suoi protagonisti, soprattutto: i più umili e indifesi, i meno fortunati, le vittime di quel sogno americano così spietato e così capace di tradire.

    Leggi la recensione nella sua pagina web

  9. Mauro Zambellini

    Summer in the city
    di Mauro Zambellini, Zambosplace, 7 agosto 2015

    Di altro tenore è America 2.0 di Fabio Cerbone, uno che di America se ne intende visto che è l’animatore ed inventore del sito Roots Highway e l’autore di libri come Levelland, nella periferia del rock americano. La sua conoscenza dell’universo americano è squisitamente letteraria e musicale ma approfondita e ciò gli ha consentito di scrivere un libro che a partire da canzoni entrati nell’universo della musica a stelle strisce più vicina al mondo dei blue collars, degli hobo, dei ramblin’ gamblin men, dei beautiful losers, racconta di una grande illusione finita nel macero dei sogni perduti. La minuziosa conoscenza della materia musicale ed una indubbia capacità descrittiva permettono a Fabio Cerbone di accompagnarvi dentro le storie di cui prima avevamo sentito solo i suoni, le parole e le note e adesso ne cogliamo il respiro, i drammi, le vicende umane, i travagli. Così lo splendido racconto di Nella Valle di Tecumseh basato sull’omonima canzone di Townes Van Zandt sembra un noir che crea un’attesa spasmodica e La Scheggia, costruita attorno a Sam Stone di John Prine, è la più cupa e drammatica cartolina del post-Vietnam che l’America di provincia potesse inviarci. Non sono gli unici racconti a coinvolgere, bellissimo è anche La Cadillac di Elvis basato sulla canzone di John Hiatt Tennesse Plates e pure Qualcosa di grande, liberamente tratto da Something Big di Tom Petty ha il potere di portarvi dentro una storia che ben riflette gli umori della canzone da cui Cerbone ha tratto l’ispirazione. Altri racconti sono più didascalici e sono contornati da un romanticismo un po’ calcato, quel romanticismo degli ultimi però che appartiene di diritto a questa musica di perdenti che richiedono dalla vita la propria chance di riscatto. Perché l’America che piace a Cerbone e a noi non è quella dei vincitori e della forza, ma è quella che si ritrova nella grande illusione tradita, che amabilmente Fabio Cerbone racchiude in un libro sapientemente strutturato come un vinile, ovvero una Side One coi raccomti dell’ Heartland e di Down The Promised Land, ed una Side Two con Drive South, Into The Desert e Way Out West. Sedetevi in poltrona allora, infilate il CD con una canzone di Kris Kristoffersson, o Dave Alvin o Tom Waits o ancora meglio appoggiate la puntina su quei vinili, aprite il libro e iniziate il viaggio. Dentro le mura della vostra stanza vi apparirà l’America come l’avete ascoltata da una vita.

    Leggi la recensione nella sua pagina web

  10. Manuel Graziani

    FABIO CERBONE America 2.0 – Canzoni e racconti di una grande illusione
    di Manuel Graziani, Rumore

    Due lati. 11 canzoni. Un album? In un certo senso sì. America 2.0 è una raccolta di racconti ispirati a note, e meno note, canzoni roots-folk-rock di Springsteen, Tom Waits, Townes Van Zandt, Dave Alvin, Guy Clark e altri artisti di quel mondo lì. Racconti che si fa fatica a credere siano scritti da un italiano per quanto profondamente impregnati di cultura statunitense. C’è da dire che l’autore conosce bene ciò di cui parla e di roots rock ne sa al punto di aver fondato la webzine rootshighway.it. le sue short stories seguono le orme di Cheever e Carver, a volte arrancando, altre tenendo il passo discretamente. Racconti periferici, di frontiera, dove il sogno americano s’infrange nella realtà gretta della profonda e polverosa provincia. Un campionario di varia umanità che nel trittico iniziale si muove tra macchine usate, orgoglio frantumato e Motown (Michigan Avenue); Vietnam, eroina e gruppetti country del Missouri tutti uguali (La scheggia); camionisti, scrittori e cameriere figlie della miseria e della miniera costrette al mestiere più antico del mondo (Nella valle di Tecumseh). Cerbone dà il meglio nel noir dolente “suonato” in Qualcosa di grande, ispirato a Something Big di Tom Petty, con protagonista un rappresentanti di prodotti per la pulizia industriale che si dà alla bella (e doppia) vita finendo per fare il passo più lungo della gamba che gli risulterà fatale.

  11. Carlo Babando

    Fabio Cerbone America 2.0
    di Carlo Babando

    Tra le firme più credibili e appassionate se c’è da disquisire in materia di country / folk / americana Fabio Cerbone in America 2.0 mette definitivamente da parte la lente d’ingrandimento del critico musicale e decide una volta per tutte di bruciarsi la mano con lo Zippo ossidato di chi ha bisogno di raccontare ancor prima che spiegare. E perciò 11 racconti tratti liberamente da pezzi più o meno noti di Springsteen, Hiatt, Petty, Van Zandt e via dicendo per un libro che resta altamente consigliabile anche a chi non ha mai ascoltato Dave Alvin in vita sua, ma di certo ha un valore aggiunto se si riescono a cogliere tutte le citazioni e i rimandi tra automobili (troppo) usate e polverose radio di confine.

  12. Gianni Zuretti

    America 2.0 – Canzoni e racconti di una grande illusione
    di Gianni Zuretti, Mescalina.it, 2015

    L’America nel nostro immaginario collettivo “è questa”. È quella descritta dai grandi autori della letteratura americana e dai songwriters che, da cinquant’anni e più, stanno accendendo la nostra immaginazione permettendoci di viaggiare come se avessimo sempre frequentato quei luoghi, per cui l’America “è proprio questa”, ovvero la terra della grande provincia, quella degli spazi ampi e spesso desolati, della natura spettacolare, dei beautiful losers e dei bad guys, delle strade dritte e infinite, dei distributori e dei motel sperduti, quella delle storie impossibili, estreme, storie che sono malate e tragiche ma anche piccole e squinternate.

    L’America è quella che viene dipinta in America 2.0, opera prima in narrativa di Fabio Cerbone, scrittore, critico musicale, fondatore di Rootshighway.it, la più autorevole rivista web dedicata alla musica d’oltre oceano. Egli, dopo averla “attraversata” in lungo in largo con i suoi pregevoli saggi legati alla musica ma non solo, ora la racconta con piglio da scrittore navigato attraverso le storie che prendono pretesto e spunto dai testi di undici grandi canzoni tratte dai songbooks di alcuni dei nostri miti musicali che vanno dal Boss a Townes Van Zandt, passando, tra gli altri, per Tom Waits, John Hiatt e John Prine.

    Cerbone lo fa con una precisione chirurgica, come peraltro è solito fare, non per nulla lo avevamo affettuosamente battezzato “il secchione” per via di quella sua aria da bravo ragazzo, studioso, sempre preparato, perfetto, uno che molto ha letto, tantissimo ha ascoltato e molti film ha introiettato con gli occhi e, soprattutto, con il cuore. La sua è una preparazione enciclopedica e da qui forse discendeva l’unico rischio del suo progetto narrativo, cioè quello di restare imprigionato nelle pastoie degli stereotipi letterari e cinematografici interiorizzati nel corso degli anni ma Fabio non cade nella rete, o almeno supera il pericoloso impasse grazie ad una scrittura magistrale per un debutto, che possiede i ritmi giusti, perfetta nell’uso di ogni aggettivo, nella descrizione di ogni luogo, azione o particolare e ne viene fuori una raccolta di racconti che potrebbero benissimo provenire dalla penna di un autore contemporaneo americano (pensiamo, ad esempio, a Lansdale o Elmore Leonard) oppure, per restare “in musica”, al Ry Cooder delle Short Stories e invece è proprio tutta farina cavata dal suo sacco.

    Ci sono un paio di episodi ben scritti ma meno coinvolgenti, come il racconto di apertura che non ha saputo emozionare chi scrive al pari di tutti gli altri che risultano davvero pregevoli e sorprendenti per intensità, profondità delle storie, “scultura” dei personaggi, racconti che ci presentano uomini e donne che si fanno amare da subito per le loro fragilità, debolezze e persino inadeguatezza esistenziale. Su tutti lo splendido Sam Stone, tratto dall’omonima canzone di John Prine, un vero relitto umano che, pur collocandosi nell’alveo frequentatissimo dei reduci del Vietnam, è qui descritto con colpi di scalpello sicuri ed efficaci come solo uno scrittore particolarmente ispirato riesce ad animare.

    La raccolta, che tra l’altro è concepita dalla consueta mente geometrica di Cerbone come lato a) e lato b) di un LP, è anche suddivisa in cinque aree geografiche degli States, territori che culturalmente, sociologicamente e dal punto di vista naturalistico possiedono significative differenze. Alla fine della lettura resta aperto l’interrogativo: l’America 2.0 è acqua passata così come quel sogno tradito da tempo? Siamo forse già alla 3.0 ? A noi, anche se ormai da decenni siamo usciti dall’ipnosi di quell’idea d’America tanto fantasticata, queste storie non finiranno mai di affascinare, forse proprio per questo motivo.

    Con Fabio Cerbone abbiamo acquisito un nuovo narratore per il futuro? Lo diranno eventuali prossime prove. Di certo possiamo affermare che, in questo caso, le storie, ispirate da potenti brani musicali, si sono palesate ed hanno acquisito senso compiuto grazie alla scrittura dell’autore. I presupposti ci sono tutti per questo ci auguriamo che Cerbone insista nella difficile pratica della narrativa, oggi ambizione di molti ma che, perlomeno dalle nostre parti, produce pochi talenti.

  13. Diego De Angelis

    “America 2.0 – Canzoni e racconti di una grande illusione”
    di Diego De Angelis

    Qualcuno si ricorderà di The Indian Runner (Lupo Solitario), un film che uscì nei primi anni Novanta, diretto da Sean Penn. Il lungometraggio si ispirava al testo di una canzone, Highway Patrolman, contenuta nel meraviglioso Nebraska di Bruce Springsteen. America 2.0 è qualcosa del genere: nasce con lo scopo di voler dar vita a dei racconti basandosi sul testo o sulla genesi di alcune canzoni note delle roots statunitensi. La cosa migliore, per gustarsi appieno il libro, è quindi quello di starsene vicino ad un computer per poter ascoltare la traccia che, spesso, nella sua melodia rispecchia il tono del racconto stesso. Così come nel caso di The Indian Runner, i racconti di Cerbone sono la triste disillusione delle classi proletarie degli States. Il dolore della sconfitta fu la musa per una schiera di cantautori, si potrebbe tranquillamente affermare che il folk ed il country hanno rappresentato per decenni le istanze di una classe sociale di disperati: Per battere il diavolo è il titolo del racconto che riassume il senso alienante dei testi di Sunday Morning Comin’ Down e To Beat the Devil dell’eterno Kris Kristofferson. Ventinove Dollari è tratto da un brano di Tom Waits in cui la sua protagonista, Rosie, sembra rappresentare la purezza violata, come se la femminilità volutamente fragile faccia da contraltare alla maledetta violenza di una nazione. La poesia nasce da questo indegno stupro.

    Il libro è strutturato come fosse un vinile dotato di un Side One (Heartland, Down to the Promised Land) ed un Side Two (Drive South, Into the Desert, Way Out West), dei piccoli capitoli che suddividono le tematiche delle mini cronache dell’autore. America 2.0 è un libro che si adatta a delle letture leggere, di quelle che si fanno sul divano con un caffè, meglio ancora se fuori batte un sole dannato.

  14. Chiara Ruggiero

    Il tributo di Fabio Cerbone agli USA
    di Chiara Ruggiero, Librofilia, 12 gennaio 2016

    Sappiamo bene quanto la cultura americana sia affascinante e piena di appeal e contemporaneamente inflazionata e imitata un po’ ovunque: dal linguaggio all’abbigliamento, passando per il cibo, le bevande e il lifestyle e ovviamente giungendo sino al cinema, alla musica e alla letteratura.Non è un caso che in Italia leggiamo in prevalenza letteratura americana tradotta, ascoltiamo musica proveniente da oltreoceano e guardiamo film e serie tv girate o prodotte negli States e ognuno di noi a tale proposito potrebbe dare la propria motivazione o peggio giustificazione.La verità è che forse l’America l’abbiamo così dentro che sbarazzarcene è praticamente impossibile perché nel bene o nel male all’America dobbiamo molto, fosse anche solo a nome dell’immaginario collettivo. Ecco perché non appena mi sono ritrovata a leggere i racconti contenuti in America 2.0. Canzoni e racconti di una grande illusione di Fabio Cerbone, temevo di ritrovarmi fra le mani il classico libro stereotipato, privo di personalità e che un po’ fa il verso ai grandi e memorabili racconti americani e pertanto privo di una propria identità.

    E invece, Fabio Cerbone – da grande esperto e conoscitore di musica e di cultura americana – parte da una suggestione musicale – spesso riconducibile al periodo fra gli anni Sessanta e Settanta – e la miscela a delle precise coordinate geografiche e a ben determinate influenze sociali, politiche, letterarie e culturali per dar vita ai racconti che compongono questa sua raccolta e che a loro modo riconducono a quella dimensione che noi amanti della letteratura d’oltreoceano conosciamo bene. Dentro America 2.0. Canzoni e racconti di una grande illusione ci sono racconti che parlano di gente assolutamente comune e spesso emarginata, come la famigliola di neri alle prese con l’acquisto di un’automobile:

    “Aveva deciso di godersi la sia nuova conquista, una Falcon del ’64 destinata a essere la migliore vettura parcheggiata nel cortile del palazzo. Questo bastava a farlo sentire un uomo realizzato e nessuno, neppure suo figlio, poteva rovinargli la festa”.

    O come il “figliol prodigo” partito da casa con tutti i migliori intenti e che rimasto schiacciato dai suoi “fantasmi” si ritrova a diventare una sorta di errabondo incapace di gestire e di dominare la sua stessa esistenza:

    “Sognava di scalare i muri e saltare le staccionate, di uscire dal Missouri per l’ultima volta, ma l’unica immagine che gli restava impressa in quell’istante era il piccolo cimitero dei caduti, in alto, sulla collina alla sua destra”.

    Oppure c’è la strana e mal assortita coppia ossessionata dal taccheggio, da Elvis Presley e dalla sua Graceland:

    “Quel luogo gli apparve subito un po’ artefatto. Rispetto a ciò che si era sempre immaginato, osservandole nelle fotografie , l’esterno della casa era adorabile, avvolta in una sobria eleganza. Ma era tutto quello che gli avevano costruito intorno che lo metteva a disagio”.

    Così come non mancano gli artisti di strada, gli scrittori e i musicisti consumati o ancora in cerca della loro strada e che attraversano l’America da una costa all’altra in attesa della grande occasione.

    Ad una prima lettura, quella che ritroviamo qua e là nei racconti di Fabio Cerbone potrebbe apparire come un’America remota e ancora sulle tracce del Sogno Americano o meglio ancora un’America ancora in divenire e piena di grandi e piccole occasioni ma anche di illusioni e delusioni. Quella che fuoriesce dalle pagine di America 2.0. Canzoni e racconti di una grande illusione è ovviamente un’America filtrata perché raccontata da una penna non autoctona e quindi potenzialmente più debole perché vittima di inciampi o di distorsioni varie, eppure posso assicurare che così non è, dal momento che il tributo di Fabio Cerbone è piuttosto fedele, ben documentato e argomentato.

    E se ora, giunti alla fine di questo lungo preambolo, vi starete chiedendo a che cosa serve realmente un libro come questo, posso assicurarvi che la domanda decade automaticamente nel momento esatto in cui vi ritroverete catapultati nei racconti contenuti in America 2.0. Canzoni e racconti di una grande illusione e state tranquilli, poiché leggendo questo libro non avrete mai – nemmeno per un istante – quella assurda sensazione che potrebbe capitarvi di provare nel momento esatto in cui all’interno di una grande festa, scovate qualcuno che indossa magari il vostro stesso abito.

  15. Donata Ricci

    America 2.0 Canzoni e racconti di una grande illusione
    di Donata Ricci, Late For The Sky

    Ogni volta me lo domando. Com’è che, dopo aver assistito alla decomposizione del sogno americano, siamo ancora qui a farci sedurre da ogni uscita che riguardi l’America? Proprio noi che detestiamo i luoghi comuni. Neanche stavolta trovo la risposta, in fondo non la voglio più cercare. E nemmeno mi sento in dovere di giustificarmi dinanzi ai tromboni che sentenziano sulla presunta superiorità della letteratura mitteleuropea o della narrativa russa. Con il dovuto rispetto, quando voglio emozionarmi leggo di America. È la nostra formazione, con la sua musica, il suo cinema, i suoi spazi vertiginosi e le sue contraddizioni. Ed è ancora tutto qui, perfettamente fruibile, nel bene e nel male. Altrimenti non mi spiegherei perché il nuovo libro di Fabio Cerbone mi appaia come la trasposizione letteraria delle fotografie scattate oltre mezzo secolo fa da Robert Frank e raccolte in quel prezioso documento che è The Americans. “America 2.0” potremmo metterlo sul piatto come fosse un vinile, tanto più che è composto da un side one e da un side two. E non è tutto: ogni lato è costituito da brevi racconti che potrebbero essere canzoni e che, di fatto, si dichiarano liberamente tratti da brani musicali provenienti dallo sterminato songbook americano. C’era da aspettarsi questa mossa di Fabio il quale, dopo aver scritto a lungo di musica in termini di saggistica e forte di un’importante esperienza come fondatore e direttore del web magazine RootsHighway, ora si appropria della narrativa e inventa storie che alla musica si ispirano, seguendo una formula semplice ma vincente: una canzone, un racconto. Allora vediamole queste storie, che hanno il dono del ritmo e avvincono il lettore. Non parleremo di “perdenti” e non soltanto per svincolarci dai cliché, ma perché ci sarebbe da chiedersi, una buona volta, chi siano i vincenti e in cosa consista il premio. Oggi l’America, intesa come paese reale, sembra possedere un’unica faccia, su cui è stampata un’espressione sofferente. Un ipotetico “The other side”, espressione che campeggia su alcune produzioni culturali che si occupano di questioni statunitensi, con tutto lo sforzo non lo vedo. Pertanto accentuare la contrapposizione fra due mondi di cui non si apprezzano più i confini potrebbe essere un’operazione fuorviante, quantomeno foriera di stereotipi. Soltanto neutralizzando gli stereotipi è possibile riconoscere tutto il valore della letteratura americana. Fabio Cerbone a questa consapevolezza è già pervenuto. Racconta storie con partecipazione ma tiene sotto controllo l’enfasi, resta ben piantato nella trama senza attribuirle surplus di significato. Le storie sono quello che sono, coinvolgenti, fisiche, non di rado sanguinanti, ma non vengono usate come pretesti per una sociologia spicciola. Sono verità in sé. Hanno assimilato la lezione di Sam Shepard e di Willy Vlautin con la loro epica del motel. Si potrebbe parlare di letteratura del transito. E poco importa che le short stories di Cerbone varino l’ambientazione: si tratta in ogni caso di luoghi provvisori, di vite sospese in attesa degli eventi, di stati di avanzamento esistenziali. Allora sì che possiamo metterceli tutti, i temi più classici dell’America. “Se nascevi nero a Detroit, dovevi guadagnarti il pane con il doppio dello sforzo di tutti gli altri” pensa l’operaio Jackson mentre tratta l’acquisto di una Falcon del ’64, cercando di non farsi fregare dal saccente venditore bianco. E questa è la questione razziale. “Cinquantamila watt sparati come un razzo dal confine messicano (…) Dritto dall’altra parte di Nogales, stato di Sonora, il segnale si infiltrava su fino a Tucson, inondando l’Arizona di note fuorilegge”. È l’incipit potente del racconto Frequenze clandestine, in cui le trasmissioni di una radio pirata fanno da filo conduttore alla relazione tra Maria, messicana senza permesso di soggiorno e Dave, cittadino americano con un passato turbolento nei sobborghi di East L.A. Li separano gli accadimenti oppure lo stesso confine, quella linea sottile che, come scrisse lo storico Frederick Jackson Turner già alla fine dell’Ottocento, rende unica e irripetibile la storia americana. E questa è la frontiera. Non meno dolorose sono le vicende sentimentali intramoenia. Come quella ispirata dall’immortale ballata di Townes Van Zandt Tecumseh Valley, dove esiste un Justin, camionista, che si innamora di Caroline, cameriera in una tavola calda alla periferia di Bloomington. Si cercano, si perdono, si ritrovano ma non si riconoscono. E questo è Paris, Texas. Sam invece è un reduce di guerra. Fa ritorno a Fulton, Missouri, dalla giovane famiglia, ma nella sua testa continuano a deflagrare le granate a frammentazione. “Cosa mi può offrire Fulton se non una vastità di campi e un finale già scritto? (…) e dei buoni vicini che mi inviteranno al barbecue della domenica”. E questo è il Vietnam. E che dire di Norman, un destino di normalità persino nel nome. Era il migliore agli inizi della carriera, ma giorno dopo giorno l’aspettativa di compiere il grande salto evapora e, di fatto, resta un ottimo venditore di idropulitrici. E questi sono i sogni infranti degli individui, nonché le promesse da marinaio di una nazione. L’America di Fabio Cerbone è questa ed è l’America reale. Confusa, delusa, senza fissa dimora. Ma anche espressiva, in movimento, accogliente. Perché trovi sempre un’insegna accesa nella notte, un fast food aperto a tutte le ore, un welcome nel mezzo del nulla. E anche un distributore abbandonato sulla Garrison Road, dove Justin aspetta la sua Caroline. Perché, come testimoniato dalla poetessa Elizabeth Bishop, anche a un vecchio distributore si può dedicare una poesia.

    Leggi la recensione nella sua pagina web

  16. Ambra Bellandi

    «America 2.0», gli Stati Uniti «rivisti» attraverso le canzoni
    di Ambra Bellandi

    Un viaggio negli States senza mai realmente recarsi in America firmato dallo scrittore Fabio Cerbone. Nel suo ultimo libro, intitolato America 2.0, lo scrittore 40enne di Spino d’Adda si è cimentato nella fusione di musica e racconto. Si trovano infatti 11 canzoni, legate ad altrettanti racconti brevi, che negli anni ’60, in pieno «sogno americano», hanno raccontato l’America più marginale. «Questo libro è la fine di un percorso e, al tempo stesso, l’inizio di un altro – ha spiegato l’autore – Fino a oggi mi sono cimentato in critica musicale, ma ora sento che è giunto il momento di passare alla narrativa». I racconti di America 2.0 sono, infatti, di pura fantasia, fatta eccezione per uno, Johnny, nel quale Cerbone ha messo un po’ di sé. Nei racconti vi sono personaggi che vengono traditi dal sogno americano: «C’è del vero nella bellezza dell’America, ma le canzoni che ho preso in esame hanno trasmesso anche il rovescio della medaglia: traspare una realtà cruda, dove vige lo stereotipo del self-made man». Cerbone, quindi, non racconta gli States come in un diario di viaggio ma come sono «arrivati» in Italia attraverso le canzoni. «Il self-made man è molto spesso una presa in giro e la controcultura americana degli anni ’60 ne è la prova – ha aggiunto – Chi si salva dal sogno americano? Fondamentalmente tutti, è sufficiente non mitizzarlo».

  17. Remo Ricaldone

    PLANETBooks (1)
    di Remo Ricaldone, Planet Country

    Un modo decisamente originale per unire musica, letteratura e, perché no, viaggio è senz’altro quello scelto da Fabio Cerbone, grande appassionato di America e autore di testi dal taglio intelligente e lineare. America 2.0 – Canzoni e racconti di una grande illusione (Quarup Ed. 2015) parte infatti dall’esigenza di raccontare storie prendendo spunto da una serie di canzoni sviluppandone il testo fino a farle diventare piccoli quadretti che a me ricordano le short stories del grande Sam Shepard. Proprio come se fosse l’ascolto di un vecchio vinile, il libro affronta undici canzoni, divise in due facciate, dandone una lettura profonda e coinvolgente svelando la psicologia dei personaggi coinvolti e mostrando sempre nuove pieghe ed emozioni. Bruce Springsteen, John Prine, Townes Van Zandt, Kris Kristofferson, John Hiatt, Jerry Jeff Walker, Tom Petty, Guy Clark, Dave Alvin, James McMurtry e Tom Waits sono gli storytellers presi in considerazione e la rilettura delle loro canzoni è più che mai riuscita. Caldamente consigliato naturalmente abbinando alla lettura l’ascolto delle canzoni scelte in una playlist dal fascino senza tempo.

    Leggi la recensione nella sua pagina web

  18. Nicola Gervasini

    “Ex libris”
    di Nicola Gervasini

    Chi ama la musica sa bene cosa vuol dire immaginarsi una canzone: ci sono un testo, una storia, un suono e un ritmo, e insieme creano un immaginario che per l’ascoltatore non è mai lo stesso dell’autore. E quell’immaginario può essere visivo, se da un brano nasce l’idea di un film (pensate a Lupo solitario di Sean Penn, per esempio, ispirato da Highway Patrolman di Bruce Springsteen), ma anche letterario, se dalle sensazioni create da una serie di brani cardine per la musica americana Fabio Cerbone ha tratto ispirazione per la raccolta America 2.0. Canzoni e racconti da una grande illusione. In puro stile Raymond Carver, il giornalista musicale prova a narrare nuovamente la provincia americana, tracciando, storia dopo storia e brano dopo brano (Springsteen ancora una volta presente con Used Cars), una sorta di nuova geografia delle miserie e delle contraddizioni di una nazione che, volenti o nolenti, ha condizionato il mondo culturale del secolo scorso, ma che ora fatica a trovare una nuova identità egemone. Il punto di partenza è sempre una canzone di alcuni grandi autori come Tom Petty, Tom Waits, Kris Kristofferson, Townes Van Zandt, Dave Alvin, James McMurtry, John Hiatt, John Prine, Guy Clark e Jerry Jeff Walker, ma l’arrivo sono vicende completamente nuove che, tra citazioni musicofile e rimandi letterari colti, parlano di un’America non più mitica e sempre più lontana dal resto del mondo, vista da chi continua però a sviscerarne con passione i mezzi espressivi.

  19. Stefano Bocconetti

    Al cuore della grande illusione americana
    di Stefano Bocconetti, Book Ciak Magazine, 4 agosto 2015

    Undici racconti ispirati ad undici brani: dal Boss a Tom Waits, passando per Guy Clark fino a James McMurtry. È America 2.0 di Fabio Cerbone, più che un libro una sorta di esperimento crossmediale tra musica e letteratura. E perché no, anche cinema…

    Se si ragiona con gli occhiali di chi fa cinema, si può dire che sia l’esatto contrario della procedura. Della procedura tradizionale. Qui si parte dalla colonna sonora, dalle musiche, dalle parole di quelle canzoni. Il resto, ne discende a cascata.

    America 2.0 è uno strano libro. Per cominciare è l’esordio in narrativa di Fabio Cerbone. Giornalista, saggista, conduttore radiofonico, ha alle spalle una lunghissima produzione: tanti volumi, tutti dedicati alla musica americana. Al rapporto fra la musica americana e quel mix di speranze, ambizioni e frustrazioni che la rendono possibile. A New York come a Minneapolis. Fino ad ora, però, s’è trattato di saggi. Anche se non proprio saggi accademici, scritti come può fare solo chi non solo studia la materia ma la ama, la “vive”. La interpreta.
    Ma il libro è strano soprattutto per il metodo adottato. Cerbone parte da undici canzoni, undici brani scelti. Da Used Cars, dello Springsteen essenziale di Nebraska, fino ai $ 29.00 di Tom Waits, passando per Guy Clark, per uno dei fratelli Blasters – Dave Alvin –, fino a James McMurtry, l’amico colto di John Mellencamp.
    Undici brani, un vero e proprio cd, che non segue un ordine cronologico, né una ricerca stilistica. Anche se tutte insieme, quelle canzoni, in fondo raccontano la stessa trama: quella di un’America dove i destini sembrano già segnati e nessuno può fare nulla per contrastarli. La raccontano col rock, col folk-rock, col blues, con l’honky tonky, la raccontano con qualsiasi cosa: ma sempre e solo di un’America che illude e abbandona. E da questa mini-selezione, l’autore trae spunto per raccontare undici short-stories. Inventate, ispirate ciascuna ad una canzone.
Lo sforzo è quello di tenere nei racconti il ritmo dei brani musicali. In Michigan Avenue, per dirne una, le undici pagine che aprono il libro – che si ispira a Used Cars del boss – pochi tratti bastano a tratteggiare le speranze di una famiglia di colore di Chicago, che vuole cambiare la propria auto. Poi, sempre con poche battute, quel clima di speranza, di “quasi festa” si disperde nella malinconia di chi è costretto a fare i conti con la discriminazione razziale. Magari non dichiarata, non aggressiva come 50 anni fa, ma ancora discriminazione. E finisce con l’amara constatazione che non è possibile cambiare. Il racconto si “spegne”, proprio come il brano di Springsteen.
    Lo stesso vale per tutte le canzoni. Con racconti più o meno riusciti. Più o meno ispirati. Dalla scontata storia della ragazza, stretta fra povertà e consuetudini che sa ribellarsi solo con la morte (e dove superficialmente ci si può trovare qualcosa di Townes Van Zandt) ai bellissimi dialoghi di Johnny. Che volutamente sembra non avere una trama ma solo parole. Quelle fra un padre e una madre che appaiono soddisfatti della loro “normalità” e del loro figlio che non sa cosa vuole, ma sa solo che quella normalità non fa per lui.
    Capitoli riusciti, altri meno, si diceva. Ma tutti legati da un filo: palese, evidente. Dichiarato. Tutti legati dalla descrizione di un paese che sembra capace solo di giocare a roulette col proprio destino. Che invece è già segnato, è sempre uguale: fatto di sconfitte, una dopo l’altra. Eppure quei protagonisti non smettono di scommetterci sopra, illudendosi sempre di avere una seconda possibilità. Che si rivela perdente come la prima.
    Certo, potrà obiettare qualcuno, tradurre una canzone in un altro linguaggio è un’operazione rischiosissima. Senza scomodare grandi riferimenti, basta ricordare il video di Michelangelo Antonioni che illustrò un brano di successo di Gianna Nannini. E quando la rocker nostrana cantava “questo amore è una camera a gas”, il regista faceva vedere una stanza che si riempiva di fumo. La didascalia sublimata ad arte.
La traduzione delle suggestioni che offre la musica, soprattutto di quella musica cara a Fabio Cerbone – che è stata la vera colonna sonora di un’intera generazione, la mia – comporta dei rischi, insomma. Perché i quattro accordi di Dave Alvin che accompagnano quelle terribili parole in Border Radio (“lei continuava a chiedersi perché se n’era dovuto andare”) forse sono più potenti di quelle quindici pagine dove si raccontano le ansie, le microscopiche gioie, le paure dei migranti messicani.
Libro rischioso, dunque. Ma è come se si trattasse di un azzardo a metà: dalla musica alle parole.
    È come se mancasse qualcosa. Allora forse al racconto e alle note andrebbero aggiunte anche le immagini. Un film, insomma, un film con quelle undici storie. Per valutare davvero l’esperimento, per capire una volta per tutte se la musica si può tradurre.

    (noi abbiamo scelto le immagini di Nebraska di Alexander Payne)

  20. Blue Bottazzi

    Fabio Cerbone > America 2.0. Canzoni e racconti di una grande illusione
    di Blue Bottazzi, Blue Bottazzi Beat, 9 luglio 2015

    Fabio Cerbone è un romantico del sogno americano. È lui il motore di Roots Highway, il sito web più curato sulla musica americana delle radici, ed è lui l’autore di un bel mazzo di libri sul sogno americano, da Easy Ryders Sogni e illusioni Americane a Fuorilegge d’America: Hank Williams, Johnny Cash, Steve Earle fino a Levelland, nella periferia del rock americano.

    Fabio Cerbone è anche un amico, dunque siamo in conflitto di interessi, che di solito nell’ambiente si risolve con una marchetta, nella speranza che alla prima occasione venga ricambiata.

    Il suo nuovo libro si intitola America 2.0, canzoni e racconti della grande illusione, ed è finalmente una raccolta di racconti della nuova frontiera, un traguardo naturale per un autore “beat americano”.
    La caratteristica peculiare di questi racconti è quella di essere derivati da canzoni rock, undici canzoni che hanno acceso l’immaginazione non solo di Fabio, ma di tutta una generazione di fruitori del rock’n’roll.

    Un’idea di fascino, che negli anni era passata in mente anche a me, quando scrissi (negli ottanta) il racconto Pretty Flamingo e poi il racconto di Natale di un paio di inverni fa.

    Il problema però dei racconti di Cerbone, dal mio punto di vista, è quello di non essersi solo ispirati, ma di diventare una versione in prosa delle canzoni in oggetto. E la prosa, non c’è verso, è sempre più debole della poesia. Cento parole non ne varrano mai quattro messe nell’ordine giusto, capaci nella loro semplicità ed essenzialità di evocare emozioni e immaginazione nell’ascoltatore.

    Hai presente un verso come: “Now mister the day the lottery I win, I ain’t ever gonna ride in no used car again” (stammi a sentire, il giorno che vinco alla lotteria non metterò mai più piede su una macchina usata) – qualsiasi parola tu possa aggiungere può solo diluire. Ognuno di noi ha un film su queste canzoni, guardare quello di un altro è pericoloso come andare al cinema a vedere il film di un libro che ami…
    Leggi la recensione nella sua pagina web

  21. Tiziano Cantatore

    America 2.0 Canzoni e racconti di una grande illusione
    di Tiziano Cantatore

    Fabio Cerbone scrive di musica e cultura americana da sempre. Lo fa con una capacità straordinaria, fino a proiettare il lettore nelle periferie e negli angoli più veri e crudi di un’America che non tutti conoscono, ma che vale la pena scoprire. In questo suo ultimo lavoro prende spunto dalle canzoni di straordinari musicisti della musica a stelle e strisce (Springsteen, Tom Waits, Townes Van Zandt, John Prine, Dave Alvin, Tom Petty, e tanti altri). Dove finisce la canzone partono le storie celebrate da Fabio. Ispirate dalle parole, dall’ambiente, da un punto di osservazione privilegiato e competente. È una magia. Le canzoni durano pochi minuti, ma nelle storie di America 2.0 viene raccontato tutto il resto. Un film che mostra quello che c’è dietro la storia narrata con la musica. Sembra di rivivere l’emozione che ha ispirato la canzone stessa. I personaggi prendono vita. Si muovono, parlano, raccontano le loro miserie, le gioie, i dolori, le sofferenze, gli amori, le delusioni e le speranze. I sentimenti si colorano negli ambienti di un’America dove non proprio tutto luccica. L’America dei “beautiful loser” descritti dagli autori delle canzoni a cui Fabio Cerbone fa riferimento. Pare di sentire gli odori dei motel, di strade polverose, dei bar, dei sedili di auto sgangherate, di letti sfatti, di sigarette fumate. Si rivivono i sogni dell’America, quella vera. Un turbinio di emozioni. Un modo geniale di partecipazione al rito, al culto della musica e della cultura americana.

  22. Gianfranco Callieri

    Gli Stati Uniti in frantumi: il nuovo libro di Fabio Cerbone
    di Gianfranco Callieri, Gagarin Magazine, 5 luglio 2015

    America 2.0, 11 racconti sulla dissoluzione del sogno americano

    Giornalista, saggista e conduttore radiofonico, Fabio Cerbone cura, dal 2001, il portale http://www.rootshighway.com (sul quale, per denunciare subito il macroscopico conflitto d’interessi alla base di questa recensione, interviene anche chi vi scrive), ma prima d’ora non si era mai cimentato con la narrativa pura. Oppure si può dire l’abbia in fondo sempre fatto, perché occuparsi di canzone d’autore americana, di rock, folk e tradizioni country, significa per forza di cose immergersi nei racconti, nell’immaginario, nelle profonde radici sociali di un tipo di comunicazione in concreto derivata dall’atlante romanzesco dei cantastorie del secolo scorso o delle grandi cronache orali appartenute ai pionieri del tardo ‘800. Come scriveva Mario Maffi, ricercatore espertissimo nel tema delle letterature dal basso, «La cultura orale, la comunicazione diretta, così presenti nel contesto urbano ad alta densità, sono forme di trasmissione di identità presenti anche nelle culture rurali d’immigrazione in particolare nel sud degli Stati Uniti, in spazi molto più dilatati ma dove il legame con il gruppo etnico è fortissimo», perciò, se la musica è stata insomma una cinghia di trasmissione tra il popolo e i suoi sogni, tra la nazione americana stessa e la sua continua ricerca di una personalità intrinseca e unificatrice, i musicisti di strada sono stati allora i suoi custodi, e dopo di loro il testimone – la capacità di costituire un indizio sociologico al di fuori dell’accademia – è passato ai jukebox, ai 45 giri, agli LP e infine, oggi, alle famigerate playlist di Spotify e altri servizi di ascolto in rete. Cerbone sceglie di raccontare l’America partendo dalle canzoni, come se avessimo in mano un vinile dotato di entrambi i lati e di entrambe le coste (dall’Est all’occidente, senza viaggio di ritorno), e da ognuno dei brani prescelti (in un repertorio che corre tra Bruce Springsteen e Tom Waits) trae una storia dove si fondono cultura rock e passione per gli scrittori senza fronzoli, nemici di ogni avverbio e di qualsiasi lungaggine. Quanto però emerge dalle undici short-stories di America 2.0 – Canzoni e racconti di una grande illusione, non è solo il catalogo delle passioni, degli ideali e perché no delle predilezioni estetiche dell’autore, ma un ritratto amaro e impietoso di un paese smarrito nella costante ricerca di una frontiera da attraversare, prigioniero di falsi miti (su tutti quello della cosiddetta «seconda opportunità») inadatti a preservarlo da una spaventosa fragilità, con l’insicurezza nel ruolo del sentimento dominante, la rassegnazione come cifra ricorrente di tutti i protagonisti e ciascuna parabola. In un continente che come nessun altro ha saputo incarnare il sogno di una nuova rinascita, l’ideale di un risveglio collettivo e individuale, ogni aspirazione sembra essersi frantumata in una perenne metafora del disorientamento pubblico: la dimensione comune a tutti i racconti di Cerbone è infatti quella della speranza tradita, destinata a ritorcersi contro chi la nutre in una spirale dolorosa di espedienti, miserie e impoverimenti. Il corso degli eventi oscilla tra il risentimento di classe dell’iniziale Michigan Avenue, in cui l’acquisto di un’auto nuova da parte di una famiglia di colore diventa la radiografia implacabile di una segregazione abolita a parole e nondimeno ancora viva e sanguinante nella quotidianità dei cittadini, al disilluso tono noir di Qualcosa di grande, passando per l’agrodolce confronto generazionale di I pozzi di Monahans, la gioventù perduta del dolente Il ballerino degli honky-tonk, l’amore scomparso di Frequenze clandestine e l’annientamento (anche fisico) dei proletari di provincia di Nella valle di Tecumseh, senza mai perdere di vista la prospettiva tutt’altro che tranquillizzante dei perdenti, la metafisica degli ultimi sempre pronti a tentare un’ennesima scommessa col destino (dagli esiti in genere disgraziati). Il racconto più bello s’intitola Johnny, arriva da una canzone del texano James McMurtry e intreccia i desideri modesti di una famiglia di medie ambizioni con la ribellione silenziosa di un figlio refrattario all’adattamento borghese: la cadenza delle parole è distesa, quasi colloquiale, e per undici pagine (tante ne conta l’esposizione) non sembra accadere granché, ma dietro la tristezza sottile dei genitori e la sorridente malinconia del loro primogenito si nasconde una disamina delle convenzioni sociali, un riflesso del paradiso promesso dalla cultura americana e tuttavia irraggiungibile ai più, degno delle disperazioni inafferrabili di John Cheever. In definitiva, complimenti alla casa editrice – la pescarese Quarup – per il sostegno garantito a (diversi) esordienti d’indubbio valore, e complimenti a Fabio Cerbone, per essere riuscito a trasformare la retorica e i luoghi comuni di tanta musica americana in un mosaico di sentimenti, illusioni e utopie spezzate da conservare a lungo negli angoli della memoria.
    Leggi la recensione nella sua pagina web

  23. Anna Anselmi

    Dalla Louisiana al Montana alle chiacchiere padane
    di Anna Anselmi

    Festival dal Mississippi al Po. Conversazioni con Burke, Filios, Cerbone, Villani e Cecchetti

    Dalla Louisiana al Montana, passando poi in rassegna un po’ tutti gli States, per finire dalle nostre parti ad ascoltare più sommessamente le chiacchiere da bar, fucine di cattiverie e veleni. La mattina del secondo giorno del Festival blues Dal Mississippi al Po si è svolta sotto i portici di Palazzo Gotico con la presenza del nuovo marchio editoriale, Unorosso, per il quale è imminente l’uscita del romanzo Creole Belle, di James Lee Burke. di cui ha parlato l’editore Fabrizio Filios, annunciando la prossima traduzione anche della successiva indagine del commissario Dave Robicheaux, creato dalla penna dello scrittore che vive tra la Louisiana, dove ambienta i suoi libri, e il Montana, lo Stato di origine anche dell’amico e collega James Grady, che ieri, tra il pubblico, è intervenuto per precisare come in lingua originale Burke sia apprezzato specialmente per la prosa cristallina e per la capacità di fondere magistralmente le atmosfere di zone così diverse dell’America.
    Gli Stati Uniti si sono poi idealmente attraversati con le pagine del libro America 2.0 del lodigiano Fabio Cerbone. Nel volume, edito da Quarup, ogni capitolo è associato a una canzone. «Come critico, ho sempre scritto di musica adottando uno stile narrativo, attento alle storie. Così questa volta ho deciso di ribaltare un po’ il ragionamento, prendendo le canzoni a pretesto e trasformandole in un racconto». In ciascuno agiscono i personaggi evocati nel testo della rispettiva canzone: «Il racconto è di pura finzione, ma ho cercato di rispettare il più possibile i personaggi originali».
    Con qualche licenza, fin dal primo racconto, Michigan Avenue, tratto da Used cars di Bruce Springsteen, rivisitata prendendo a protagonista una famiglia afroamericana. Il genere coinvolto nel volume è soprattutto il folk country delle canzoni d’autore, ma non mancano, qua e là, riferimenti alle radici blues. Dal Midwest si attraversa il sud per approdare in California e, tra una e l’altra di queste tre sezioni, ulteriori citazioni musicali hanno il compito di fornire un raccordo.
    Con lo scrittore Andrea Villani e il disegnatore Riccardo Cecchetti si è invece tornati in atmosfere padane, con la loro graphic novel M’han detto che, pubblicata dalla piacentina Nuova editrice Berti. Villani ne ha spiegato la genesi, collegata al microcosmo dei bar, dove il pettegolezzo in apparenza più banale, «spesso troppo sottovalutato», può trasformarsi in una piaga difficile da guarire. Villani ha fornito i testi, che Cecchetti, formatosi alla “scuola” della rivista satirica Frigidaire, ha tradotto in disegni: «Mi piace sperimentare e sono sempre alla ricerca di nuove idee. Ho usato adesso una tecnica mista, dalla rielaborazione con programmi di fotoritocco all’acrilico, sovrapponendo anche pezzi di nastro adesivo e di juta».

  24. Fabio Ravera

    Fabio Cerbone, l’America 2.0 raccontata in note e parole
    di Fabio Ravera

    Una manciata di canzoni della tradizione folk-rock a stelle e strisce si trasforma in “short stories”, brevi testi che scavano negli States del Duemila

    Un libro che procede al ritmo di un disco, in cui una manciata di canzoni, più o meno note, della tradizione folk-rock statunitense si trasformano in “short stories”, storie brevi per raccontare un’idea di America. C’è un po’ di Raymond Carver, un po’ di Jim Thompson ma soprattutto una spiccata originalità creativa in America 2.0 – Canzoni e racconti di una grande illusione (Quarup editrice), l’ultimo libro firmato dal lodigiano Fabio Cerbone, scrittore innamorato della cultura a stelle e strisce che in passato aveva pubblicato diversi saggi di critica musicale, tra cui Easy Ryders. Sogni e illusioni americane (2005), Fuorilegge d’America. Hank Williams, Johnny Cash, Steve Earle (2007) e Levelland. Nella periferia del rock americano (2009). Cerbone è inoltre ideatore del web magazine RootsHighway (www.rootshighway.it), luogo virtuale in cui si occupa dell’immaginario del rock e delle sue radici letterarie e sociali.
    Il nuovo libro verrà presentato oggi pomeriggio (ore 17) alla libreria Zig Zag in via Libertà a San Donato Milanese. Partendo da brani di Bruce Springsteen, Tom Waits, Tom Petty, Steve Earle, John Prine (ma anche di autori meno noti in Italia come Townes Van Zandt o Kris Kristofferson), Cerbone offre un’inedita panoramica di sogni, suoni e visioni americane rivisti attraverso un’ottica narrativa. “Canzoni e racconti di una grande illusione”, come recita il sottotitolo del volume, si intrecciano tra raffinate suggestioni musicali e la percezione di una terra lontana, affascinante, misteriosa, che il più delle volte è un luogo della mente. «Ho sempre scritto di critica musicale, ma nei miei libri c’era spesso anche una componente narrativa» – racconta Fabio Cerbone – «Per questo è nata l’idea di scrivere un libro di racconti, partendo però dal mio ambito privilegiato, la cultura musicale americana».
    In totale America 2.0 raccoglie undici canzoni, divise in “Side A” e “Side B” come ideali facciate di un album che al ritmo delle chitarre sostituisce quello della pagina scritta. «Non ho scelto le canzoni più belle o che apprezzo di più, ma quelle che raccontano storie e personaggi particolari. Sono partito con una trentina di brani, poi via via ho scremato fino a ottenere la “playlist” ideale per scrivere i miei racconti. Il libro è una sorta di viaggio nell’America che segue anche un percorso geografico. Ho voluto dare un’idea di America “marginale”, alimentata anche da suggestioni letterarie che sono nel mio bagaglio culturale».
    Ne esce così un libro molto cinematografico nei dettagli e nel ritmo, che partendo dalla strada, dai bassifondi, dalle sconfitte e dai fallimenti racconta il grande equivoco del sogno americano.

Solamente clienti che hanno effettuato l'accesso ed hanno acquistato questo prodotto possono lasciare una recensione.