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Racconti a vita bassa

13.00

Vite vissute con ossessione, dalla cintola in giù, secondo una legge di natura violenta e profondissimamente umana, tradotte in Parola da un Cormac McCarthy terrone, da un Tennessee Jones ubriaco di rosso di Canosa.

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Categoria: Product ID: 1583

Descrizione

Vite vissute con ossessione, dalla cintola in giù, secondo una legge di natura violenta e profondissimamente umana, tradotte in Parola da un Cormac McCarthy terrone, da un Tennessee Jones ubriaco di rosso di Canosa.

Malesangue. Vittime del sistema, banalizzerebbero i sociologi conformisti. O magari gente di frontiera, azzarderebbero quelli che credono di avere il colpo d’ala. Ad un autore come Nicola Sacco il luogo comune è precluso. Malesangue, una parola sola, nuova e sua, per descrivere l’umanità che parla nel suo Racconti a vita bassa. Esistenze sbagliate, monche e mancanti, bambini a cui viene negata la possibilità di essere figli, madri spaesate dall’essere madri, che appaiono e scompaiono in cerca più di se stesse che dei figli, crescite malate e vite adulte storte perché c’è sempre qualcosa di anomalo, di sbagliato: una calvizie troppo precoce, un braccio paralizzato, un matrimonio mancato, un fratello perso, il sesso problematico ansioso perverso violento. E poi un conducente-domatore di autobus abbandonato da tutti tranne che dal suo “destriero”, una zia megera e bigotta alle prese con la giovane Olga (nipote “euforica e tragica”), un mago raggelante come può esserlo soltanto chi ha “la vocazione”. Sono variazioni sull’assenza, di chi o ciò che manca, le voci in cui si articola la lingua personalissima e mai cliché di questo romanzo ambientato negli scenari struggenti di una Puglia moderna e ancestrale, in cui ti immagini Alessandro Piva a girarci un film. O un cantastorie che – nella miglior tradizione dell’epica popolare – raffigura in quadri una saga polifonica e compatta. Vite vissute con ossessione, dalla cintola in giù, secondo una legge di natura violenta e profondissimamente umana, tradotte in Parola da un Cormac McCarthy terrone, da un Tennessee Jones ubriaco di rosso di Canosa.

Nicola Sacco
Nato a Bari nel 1974, NICOLA SACCO si sta mettendo in mostra nella ristretta schiera di scrittori emergenti italiani realmente capaci di originalità. Dopo aver esordito con “Ghiandole” (2005), breve romanzo di formazione, e messo il suo stile alla prova di un testo linguisticamente e narrativamente innovativo come “Racconti a vita bassa” (apprezzato da critici come Luigi Mascheroni e Gian Paolo Serino), sta attualmente lavorando ad un progetto destinato a legarlo a filo doppio con la più grande narrativa del Novecento italiano.

Informazioni aggiuntive

Autore

Collana

ISBN

978-88-95166-03-2

Pagine

160

Formato

12×19,5 – Brossura filo refe con alette

9 recensioni per Racconti a vita bassa

  1. Alessandra Tedesco

    Radio24
    di Alessandra Tedesco

    Guarda il video su Youtube

  2. Giuseppe Giglio

    Un mondo di rabbia e di solitudini
    di Giuseppe Giglio

  3. Gilda Camero

    Esistenze per delega in Racconti a vita bassa
    di Gilda Camero

  4. Rita Rutigliano

    Racconti a vita bassa: in una Puglia estiva e disperata
    di Rita Rutigliano

  5. Antonella Gaeta

    I vizi capitali della provincia nelle storie dei giovani scrittori
    di Antonella Gaeta

  6. Livio Costarella

    Un deserto di vite perverse
    di Livio Costarella

  7. Tina Cosmai

    Gli scritti con rabbia di Nicola Sacco
    di Tina Cosmai

    Nicola Sacco è uno scrittore esordiente. Nel 2005 ha pubblicato un breve romanzo di formazione Ghiandole, un libro quasi sconosciuto. Ma poi, circa un mese fa, la Quarup Edizioni pubblica i suoi Racconti a vita bassa, storie di esistenze sbagliate, ai margini della vita, legate ad un territorio forte e spietato, dal clima torrido e le terre bruciate dalla siccità, la Puglia.
    Nicola è nato nel 1974 a Modugno, un grande paese a pochi chilometri da Bari, sorto negli anni Sessanta, durante lo sviluppo industriale della zona. Confessa di scrivere in maniera professionale da almeno quattro anni, nel senso che «prima non avevo la convinzione di fare lo scrittore, me ne sono reso conto quando ho capito che potevo arrivare alla pubblicazione».

    È ovvio che Nicola non ama essere un autore solipsista, anzi, avanza delle critiche in proposito: «Scrivere per se stessi è una forma di narcisismo, è scrivere allo specchio guardandosi l’ombelico. Non è questo il modo migliore di interpretare la scrittura, che invece va vissuta in una prospettiva di pubblicazione, perché credo che un libro appartenga al lettore e perché si ha bisogno di un bravo editore che sappia valutare e seguire il proprio autore durante la stesura del testo».
    A Nicola è accaduto così, i racconti sono nati nella solitudine della sua fantasia, dei suoi segreti esistenziali, poi sono cresciuti insieme ai consigli di Alessandro, guida editoriale, e importante punto di riferimento. La scrittura allora diviene una palestra, un “luogo” dove crescere, imparare. E Racconti a vita bassa è proprio un crescendo, di stile, di linguaggio, di rabbia. «Racconti di esistenze vissute dalla cintola in giù, nel senso più deteriore di questa espressione, perché ci sono personaggi impregnati di ossessioni, manie sessuali che sfociano nella perversione. E poi “vita bassa” perché sono geografie affrante, svilite da bassezze, da azioni dettate spesso da cattiverie gratuite. Ci sono madri sciagurate e bambini crudeli. Esistenze depresse dal caldo, da un clima metereologico ed umano opprimente». In queste storie Nicola si confronta con il male, con la disperazione di personaggi che si son persi, che avvertono il peso della solitudine e non sanno se un giorno si ritroveranno. Da tutto ciò nasce la drammaticità di una rabbia che irrora il linguaggio e lo pone in un crescendo di ritmo e di intensità deliranti. Una lingua che lievita nell’avanzare della lettura. «All’inizio riuscivo a controllare il linguaggio con uno stile sorvegliato. Poi c’è stata una colata lavica di parole. L’espressione di una rabbia certo, ma anche l’assorbimento di letture a me congeniali, come Gadda o chiunque riesca a fare fuochi d’artificio con le parole». Questa lingua dunque subisce un accumulo, tanto da diventare un deposito di vita e di morte; cresce fino alla farneticazione del dialetto dell’epilogo, Una perfetta dentizione.

    È un linguaggio che urla la disperazione di una vita segnata dalla siccità del territorio, la “terra bruciata” come la definisce Nicola nel suo libro. Un’aridità anche e fortemente simbolica del male che l’autore ha conosciuto sin da piccolo, quando narra di Michelino nel primo racconto, Passaggi. Confessa di essere lui Michelino e di essere stato davvero dalle suore mantellate. «Avevo otto anni quando l’Italia vinse i mondiali nel 1982 e frequentavo questo istituto di suore. Tutti gli episodi cruenti descritti nel racconto sono veri, bambini reclusi nel cortile assolato senza alcun refrigerio, le suore violente. Invece Dàniel è un personaggio inventato, che incarna le mie riflessioni durante la scrittura. Non esiste la pura fantasia e gli elementi autobiografici vanno elaborati».
    Una elaborazione ed una riflessione che attraversano gli universi della morte, dei colori, degli odori, tutte parti di una terra che Nicola ha nelle viscere, lo si capisce dai frammenti, in cui usa un linguaggio farneticante che dissacra i personaggi religiosi: la Madonna dell’Incoronata, la Madonna dal dente guasto, la Madonna di Marcianelle, Padre Pio e la Regina degli afflitti. Un delirio etico per riconoscere la disperazione dei suoi personaggi.
    Uno schema narrativo da cui Nicola non intende distaccarsi: «Sto scrivendo qualcosa a cui devo ancora dare una forma – parla del suo inedito – sono molto legato alla realtà meridionale e immagino una storia tipica del Sud, quella di una donna reclusa in casa perché fortemente plagiata da sua madre, dai suoi fratelli, dalle sue zie. Le hanno fatto credere di essere incomprensibilmente brutta, bruttissima, così da non farla più uscire di casa da ben dieci anni. Ogni tanto appare alla finestra, sembra uno spettro, senza capelli, perché non vede più la luce del sole. È una storia disperata e vera a cui mi ribello. Ho chiesto spiegazioni sulla reclusione di questa donna ma mi è stato risposto di farmi gli affari miei. Ma quando morirà, i suoi familiari come ne giustificheranno la fine? Qualcuno dirà la verità? Per ora, tutti l’hanno dimenticata».
    Ha tanta rabbia in corpo Nicola Sacco, una rabbia che connoterà ancora per molto la sua scrittura, che non sa dove lo porterà.

  8. Federica Furbatto

    Racconti a vita bassa
    di Federica Furbatto

    I racconti di Nicola Sacco possono anche essere interpretati come un unico romanzo, con molti personaggi, le cui vicende si intrecciano dall’inizio alla fine, in un alternarsi di narratori e punti di vista. Protagonista assoluta è la Puglia, con le strade bianche di tufo, il sole a picco del mezzogiorno, l’afa che rende il paesaggio immobile, avvolge e tutto circonda in una atmosfera atavica, quasi primitiva.

    È un ritorno alla primordialità dell’uomo dove i personaggi riscoprono l’essenza dell’origine, scontrandosi con la violenza, con le varie esperienze della vita, che portano a riflettere e alla conclusione che in fondo potrebbe trattarsi di una vicenda contemporanea, un film di Sergio Rubini, dove le donne vestite di nero si stagliano e contrastano con le ragazzine, che a quindici anni hanno già vissuto tutto, lolite inarrivabili e sogno segreto della classe media.

    La scrittura è una combinazione di caratteri nitidi e arzigogolati, ricchi, ricamata, come le facciate delle chiese barocche, senza, però, risultare pesante non stante l’abbondante uso di termini ed espressioni dialettali. Molto bella e dettagliata la capacità descrittiva, dei luoghi, ma ancor più dei personaggi: non sono mai delle figure piatte, ma emergono, hanno caratteristiche tridimensionali. I capitoli veri e propri si alternano a “frammenti” in cui compaiono ugualmente i protagonisti che sfilano nei racconti, ma il corsivo ne sottolinea il discorso interiore. Conclude l’opera “Una perfetta dentizione”, liberamente ispirato dal Riccardo III di Shakespeare.

    Nicola Sacco è nato nel 1974 a Bari, dove risiede e lavora. Nel 2005 ha pubblicato un suo breve romanzo di formazione Ghiandole. Con Racconti a vita bassa arriva definitivamente la consacrazione a scrittore. Un nome da tenere d’occhio che potrebbe benissimo completare la triade di autori che raccontano la realtà meridionale come Saviano (Gomorra, Mondadori) e Cacciatore (Figlio di vetro, Einaudi).

  9. Christian Verzeletti

    Nicola Sacco Racconti a vita bassa
    di Christian Verzeletti, Mescalina

    Dopo le pubblicazioni di “Liberami dal nulla” (Tennessee Jones) e “Addio, bellavita” (Sam Brumbaugh), la Quarup inaugura una nuova collana denominata “Le impurità del bianco”. Anche stavolta sono due le uscite a tema: “Racconti a vita bassa” di Nicola Sacco e “Per tutte le altre destinazioni” di Fabrizia Pinna. Si tratta di storie di vita al margine, non lontane dalle precedenti, raccolte nella collana “Badlands”. È chiaro che qua l’ambientazione è italiana e nel caso di Nicola Sacco ad essere protagonista è un Sud asfissiante, che toglie il respiro a dei personaggi spasmodicamente reali.
    Attraverso una serie di brevi racconti questo giovane autore di Modugno (Bari) tratteggia quella che più volta chiama una “terra bruciata”, non lontana quindi dalle “badlands” di cui sopra, tanto per confermare la linea editoriale della Quarup. Tra bambini seviziati, donne recluse e un conducente d’autobus rinchiuso in sé stesso, Sacco delinea una realtà spietata giustamente intitolata “a vita bassa”: i protagonisti vivono ad un livello infimo, in una roulotte, in una voliera o vicino ad un condotto fognario e sono costretti a provvedere ai loro bisogni facendo spesso i conti con la violenza e con la morte.
    L’autore usa un linguaggio che brucia, spietato anche nei termini, e compone frammenti che sommati l’un l’altro mirano a sfogare più che a denunciare. Cormac McCarthy, citato come punto di riferimento, è scrittore di un altro livello, ma Sacco ha le potenzialità per costruirsi un proprio stile: essendo così aderente alla realtà del suo Sud, la scrittura per lui è qualcosa che non si può trattenere, che si impone come la fame fa coi suoi soggetti. Tutto nei suoi racconti è spinto da un istinto famelico, da chi fa la carità ad un incrocio per trovare da mangiare a chi si fa recapitare un fantoccio gonfiabile per sfogare i propri istinti sessuali fino ad un autista che si lancia in una folle corsa nel tentativo di imboccare una via d’uscita, anche se per il solo attimo della fuga.
    L’identità dei singoli è indelebilmente segnata: bambini che non ricordano il proprio nome o che sono stati costretti a cambiarlo e adulti, come Ingannamorte Umberto, che si portano addosso i segni del destino, tutti riuniti in un’unica parola, “Malesangue”, che accomuna come un’epidemia.
    Ad ogni capitolo un intermezzo tenta di ridare speranza e una donna prepara dei manicaretti, ma tutto è fagocitato da un’inarrestabile discesa verso il basso. Non a caso più si procede nella lettura più prendono forma concreta gli spettri della pedofilia e della mafia, quest’ultima descritta nel capitolo conclusivo ispirato al Riccardo III di Shakespeare.
    Quella di Nicola Sacco non è una scrittura solidale, ma drammaticamente partecipe e proprio per questo in futuro potrebbe lasciare segni importanti.
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